La mattina
del 6 luglio 2012 moriva a Nugoro Santino Fois. Lollovese, 64 anni,
Santino non era impegnato in politica, non era appartenente alla nostra
organizzazione, tuttavia è sempre stato un grande amico di molti
compagni di a Manca e tante volte ha dato una mano all’organizzazione
mettendosi a disposizione nella realizzazione delle iniziative. La sua
morte, imprevedibile ed inaspettata, ha gettato tutti nello sconforto.
Ma l’accaduto diventa, oltreché umanamente triste, anche politicamente
inquietante. Santino è morto infatti a seguito di una perquisizione
poliziesca nella sua abitazione. Provati dalla perdita del caro amico,
ma determinati nel fare luce su una vicenda troppo sbrigativamente
archiviata come “fatalità”, una apposita commissione della nostra
organizzazione si è messa al lavoro per costruire delle indagini – le
uniche finora svolte – che spieghino come sono andate realmente le cose
quella maledetta mattina del 6 luglio.
Sin da
subito gli elementi emersi dalla testimonianza delle pochissime persone
presenti durante i suoi ultimi istanti si sono rivelati assolutamente
inquietanti. Mano a mano che le indagini di A Manca vanno avanti – e non
sono tuttavia ancora concluse – lo scenario sembra sempre più mostrare
una pesante responsabilità delle Forze d’Occupazione Italiane nella morte di Santino.
Andiamo per ordine:
alle 7.30
circa si presentano a casa di Santino, dopo aver suonato a tutti i
campanelli del palazzo, cinque poliziotti (due in divisa e tre in
borghese) per eseguire una perquisizione alla ricerca di armi. Tra i
cinque che operano in casa e gli otto (tra “catturandi” e scientifica)
che stanno nel cortile davanti alla palazzina si contano 13 agenti, senza considerare gli altri due che seguivano l’operazione a distanza.
Un po’ troppi forse, considerando che si trattava di un uomo di 64
anni, assolutamente non atletico e con una protesi al ginocchio,
residente in una palazzina che ha una sola via d’uscita: quella
presidiata da ben otto poliziotti. Appare dunque già nella stessa
maniera di porsi, considerando il tipo di reato, la persona da
perquisire e il dispiegamento di forze, un eccesso di zelo, se così si
può dire. Eppure il capo della squadra mobile di Nugoro, Fabrizio
Mustaro, in un’intervista alla stampa rilasciata l’indomani definiva
questo vero e proprio assedio come «una normale perquisizione prevista
dall’art. 41 Tulps. Una consueta attività preventiva alla ricerca di
armi».
In casa inizia la perquisizione, con Santino e la moglie visibilmente agitati, e in assenza di un avvocato.
La perquisizione va avanti senza alcun esito, e questo fa andare in
escandescenze il poliziotto che coordina, il quale inizia ad urlare ai
suoi sottoposti di cercare bene perché deve esserci qualcosa. Sostengono
infatti di aver ricevuto una lettera anonima in cui vengono avvisati
che la casa di Santino sia “piena di armi”. Invece di tranquillizzarsi
perché ha davanti un cittadino che non ha commesso alcun reato, il
dirigente si infuria e urla, avvisando con tono minaccioso che a breve
sarebbero andati a cercare anche in altri luoghi di pertinenza di
Santino, quali la cantina e la casa del fratello.
Nel
frattempo Santino, certamente anche a causa del forte stress a cui è
sottoposto, inizia a sentirsi male. Nella sua vita Santino ha scontato
alcuni anni di carcere, accusato per un sequestro di persona che lui non
ha mai commesso, e difatti era stato anche risarcito dallo Stato per
l’ingiusta detenzione. Sapeva bene, quindi, che esiste la possibilità di
essere incarcerati ingiustamente, e questa eventualità lo preoccupava
molto, considerando anche le apprensioni che aveva nei confronti della
moglie malata. Pur sapendo di non dover avere niente da temere dal punto
di vista della consumazione di un reato, la sua agitazione era dunque
ben motivata.
Gli agenti
trascurano completamente le sue lamentele che dicono chiaramente di
accusare un forte dolore nella parte sinistra del petto. Forse pensano
che sia uno stratagemma dell’accusato per distrarli, ma la legge non li
autorizza a supporre stratagemmi di fronte a chiari segnali di infarto.
Difatti mentre Santino, pallido e sudato, continua ad accusare questi
sintomi, anziché chiamare immediatamente un’ambulanza per farlo
visitare, pensano bene di intimargli di scendere le scale e andare ad
aprirgli la cantina.
Va detto,
per inciso, che anche il più inesperto sa bene che è fondamentale, per
salvare la vita a un infartuato, evitargli assolutamente qualsiasi
movimento e fargli prestare immediatamente le cure. I poliziotti, che
vengono preparati tramite corsi di preparazione medica a prestare le
prime cure a un infartuato. Loro questo non lo sapevano forse. Decidono
quindi, rabbiosi per l’esito negativo della perquisizione domiciliare,
non solo di non prestare le cure dovute alla persona in pericolo di
vita, ma per giunta di obbligarlo a scendere ben quattro rampe di scale!
Cosa sia
successo nel tragitto che da casa sua, tramite le scale, porta alla
cantina lo sanno solo i poliziotti. Sta di fatto che quando Santino è
giunto davanti alla sua cantina si è accasciato al suolo, perdendo
conoscenza. Solo a quel punto gli inquirenti hanno chiamato un’ambulanza,
che peraltro è arrivata in pochissimi minuti vista la breve distanza
dell’ospedale da casa di Santino. Ma a quel punto il tempo utile era
ormai passato, e non certo per responsabilità dell’ambulanza. Mentre
Santino moriva loro proseguivano ostinatamente la perquisizione nella
sua cantina, alla disperata ricerca di armi. Alla fine la perquisizione
ha dato esito negativo: nessun’arma è stata trovata.
Le
indagini da parte nostra, come detto, proseguono per fare piena luce
sulla vicenda. Nonostante la raccolta di tanti elementi, restano ancora
tanti lati oscuri. Resta da capire, ad esempio, perché al Pronto
Soccorso del San Francesco di Nugoro non conoscessero l’identità di un
cadavere arrivato con un’ambulanza chiamata dalla polizia: infatti
gli infermieri chiamavano col cellulare di Santino agli ultimi numeri
registrati, chiedendo a chi rispondeva se sapesse chi fosse il
proprietario di quel telefono, e chiedendo di andare lì per il
riconoscimento del cadavere. Resta da capire, ad esempio, perché non sia stata fatta l’autopsia
e chi e perché si sia opposto alla sua esecuzione. Chiunque si sia
opposto e per qualsiasi motivo, rispettando le opinioni e i sentimenti
dei parenti nel caso sia stato per decisione loro, ha a parer nostro
commesso un errore. Da un’autopsia potrebbero emergere chiaramente
ulteriori responsabilità da parte dei membri delle Forze d’Occupazione,
dato che si potrebbe vedere chiaramente che Santino ha effettuato degli
sforzi mentre era sotto infarto, dimostrando quindi la pesante
responsabilità dei poliziotti nella sua morte.
Da parte
nostra, spingeremo affinché la vicenda non venga coperta dall’impunità
del silenzio, anche a costo di far chiedere una riesumazione della salma
per verificare questi gravi indizi a carico delle Forze d’Occupazione.
Siamo convinti che Santino Fois non sia morto, come qualcuno molto comodamente voleva far credere, per fatalità.
Chiediamo a
tutti presenza, sostegno e partecipazione, affinché questa ennesima
storia di soprusi non cada – come tante altre, purtroppo – nel silenzio e
nell’impunità.
A Manca pro s’Indipendentzia.
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