Pagine

venerdì 22 giugno 2012

Indipendenza, indennità, immoralità e ansia di potere

DAL BLOG DI PAOLO MANINCHEDDA (PSD'AZ) ...se gli indipendentisti facessero una proposta unitaria di governo della Sardegna e di competizione con l’Italia potrebbero vincere.

19 giugno 2012 
 
sl0966Ripetutamente ho chiesto, in questi ultimi due anni, di andare a votare anticipatamente. Perché? Perché penso che oggi, se gli indipendentisti facessero una proposta unitaria di governo della Sardegna e di competizione con l’Italia potrebbero vincere.
Oggi, ciò che a lungo è stata una minoranza culturale, può scrivere una pagina importante della storia sarda, perché l’indipendentismo odierno non è rappresentazione di purezza ideologica, non è settarismo, è invece proposta di governo,  capace di risultare convincente per gli operai, per i professionisti, per gli imprenditori, per i disoccupati, per le persone. Vorrei andare a votare per dar voce a questa novità: l’indipendentismo è oggi risposta ai problemi, proposta di soluzione; è il luogo di maggiore concentrazione delle competenze e delle novità. Soffre ancora di ideologismo, di vocazione alla frammentazione e all’esclusione, ma è ormai forza di governo.
Che cosa disturba di questo rinnovato spirito dell’indipendentismo sardo? Disturba l’autonomia culturale e politica dalla Destra e dalla Sinistra italiane. Disturba la disinvoltura  con cui cerca di disarticolare la Destra e la Sinistra sarde (questa è l’accusa principale che muovono al sottoscritto, che non ha mai nascosto di non appartenere né all’una né all’altra e di lavorare per consumarle entrambe). Disturba l’indifferenza alle parole d’ordine del culturame italiano. Disturba l’irriverenza verso i simboli dell’immobilismo italiano (dalla sacralità della Costituzione alla venerazione per Napolitano). Disturba, in una parola, la pretesa di centralità dell’indipendentismo sardo.
In questo quadro si inserisce la battaglia politica innescata sulla leggina per le indennità.
Io ho votato per tagliare l’indennità del 30%, la diaria del 20% e i fondi ai gruppi del 20%. Poi per cinque giorni ha prevalso un’interpretazione del testo (che ha aporie procedurali, certamente, però assolutamente risolvibili) che portava a ritenere che il taglio fosse stato ridicolo. Adesso si è capito che il taglio è il più consistente mai realizzato. Adesso si è capito che, mentre fino alla XII legislatura le indennità sono aumentate, nella XIII sono diminuite di poco e in questa sono diminuite e diminuiranno di molto. Il merito della questione, dunque, è incostestabile e comunque sarà presto visibile.
Eppure, nonostante tutto questo stia progressivamente diventando chiaro, una parte consistente della sinistra radicale (non della sinistra sociale) si trova unita con l’estrema Destra a volere produrre la fine della legislatura in virtù di una censura morale generica e generalizzata. Il grillismo di popolo sta generando il grillismo di élite.
Il disegno politico mi pare chiaro. La piccola borghesia sarda delle professioni garantite, la più italiana che ci sia, intravede la possibilità di conquistare il governo dell’Isola sull’onda dell’indignazione; capisce che c’è qualcosa di importante nell’aria, un cambiamento inevitabile, e si candida a governarlo, non però con un progetto, ma con una condanna. La condanna è il progetto. Meccanismi già visti e tragicamente conclusisi nella storia.
Il vero obettivo di questo endorsement dell’indignazione (che socialmente è meno radicata di quel che sembri, perché operai, imprenditori, insegnanti ecc, sono alle prese con altri problemi e sono molto attenti a chi ha idee per produrre soluzioni) da parte delle seconde file dell’attuale classe dirigente (perché socialmente questo erano e sono molti capi dell’indignazione) è la conquista del governo della Sardegna senza dover correre il rischio e la fatica di dire il proprio programma di governo.
Perché questo silenzio? Perché sostituire la condanna degli altri al proprio progetto? Perché il progetto è banalmente un progetto autonomista; è banalmente una promessa di buon governo ordinario; è una promessa etica - noi siamo migliori - non politica.
Mi vengono in mente facili paragoni con la storia, la tragica storia italiana, ricchissima di episodi di presunto cambiamento prodotti dall’indignazione e risoltisi non in una riforma profonda delle istituzioni, dei processi culturali, delle dinamiche della libertà e dell’economia: no. Si sono tutti puntualmente risolti in un mantenimento delle istituzioni consunte e inefficienti.
A maggior ragione bisogna andare a elezioni: bisogna accettare di misurarsi col Partito della Condanna e delle Condanne , il quale sa che l’unica forza che ha un progetto da contrapporre all’estetica delle forche è l’area indipendentista. Fino a che il Partito della Condanna non si misura col consenso, dichiarerà di rappresentare il popolo, usurperà una delega che non ha (un po’ come fanno il Corriere e Repubblica), ma soprattutto si sottrarrà al dovere di illustrare il proprio progetto di governo.
Il confronto sui temi etici è importante: bisogna accettarlo a testa alta e con memoria lunga. Si parla, per esempio, di realizzare un taglio più consistente sui fondi per i Gruppi. Quindi, dopo l’unico provvedimento mai assunto sui tagli ai gruppi, si rilancia. Ma perché prima non si parla di fare chiarezza fino in fondo sulla loro gestione passata e presente? I silenzi sono più eloquenti delle dichiarazioni. C’è stata un’inchiesta in Sardegna sull’utilizzo dei fondi dei Gruppi consiliari, un’inchiesta seguita con attenzione dalla Nuova Sardegna e sulla quale non si è scatenata alcuna indignazione. Perché? Io un’idea ce l’ho. Ne riparleremo.

TESTO ORIGINALE

Nessun commento:

Posta un commento