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sabato 26 maggio 2012

A MANCA PRO S'INDIPENDENTZIA - CRISTIANO SABINO: ...indipendenza non è sinonimo di solitudine

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno venerdì 25 maggio 2012 alle ore 12.38 ·
 



LE PROPOSTE PER LO SVILUPPO: INDUSTRIA, ARTIGIANATO, SCUOLA E CULTURA

Cristiano Sabino, perché governandosi da sola la Sardegna dovrebbe fare meglio?
«Sfatiamo un tabù: indipendenza non è sinonimo di solitudine. Nessuno Stato vive isolato. Il problema è poter prendere le nostre decisioni economiche».

Chi ce lo vieta?
«Siamo condizionati da un piano economico non deciso qui, e neppure in Italia».

Non amate l'Ue, vero?
«Mai stati europeisti, mai creduto nell'euro. E poi è sconsigliabile entrare in una casa che sta crollando. Come si può essere indipendentisti ed europeisti? Da piccolo ho visto mio nonno espiantare la vigna perché lo diceva la Cee».

C'erano agevolazioni.
«Sì, per non produrre. Bell'aiuto all'economia. Solo per tutelare i vini francesi. Guardiamo invece al Mediterraneo, alla Corsica. Nell'Europa non avremmo ruolo, quasi tutte le decisioni di Bruxelles ci danneggiano».

Invece se decide il ceto politico sardo va tutto bene?
«Beh, quello che abbiamo non è un ceto sardo. È espressione diretta di quello italiano. Pd e Pdl, quando hanno un problema, chiamano il podestà, il commissario».

Se la Sardegna dovesse basarsi solo sulla sua fiscalità, secondo alcuni calcoli mancherebbero molti miliardi di euro per mantenere gli attuali servizi pubblici.
«Quanto a servizi, lo Stato italiano se ne sta già andando dalla Sardegna. Dovremo fare da soli. A partire dall'agenzia delle entrate».

Come dice il Fiocco verde?
«Sì, ma ridisegnando anche le aliquote. Oggi un artigiano sardo paga tanto, perché gli studi di settore sono disegnati per Milano».

Torniamo a quei calcoli.
«Io non li ho fatti, ma Stati molto più piccoli della Sardegna gestiscono bene scuole, sanità e tutto il resto. E poi ci sono i soldi che lo Stato non versa alla Regione».

Però lo Stato realizza anche infrastrutture.
«Sì, le carceri. Fatta 100 la media degli investimenti per infrastrutture in Italia, la Sardegna si ferma alla metà in tutti i settori: arriva al 220% solo per i penitenziari. Progetti blindati, noi non possiamo metterci becco. Anche la manodopera è esterna».

Voi quale modello di sviluppo auspicate?
«La sovranità alimentare è uno dei punti cruciali. Siamo contro la grande distribuzione, e sosteniamo la lotta dei pastori per i mattatoi zonali: consentendo di vendere la carne in filiera corta, i mercati rionali abbasserebbero i prezzi e i consumatori avrebbero carne di qualità a costi ragionevoli. Un'altra proposta concreta è il polo di sovranità economica a Nuoro».

Di che si tratta?
«Di una battaglia di A manca: anziché una nuova caserma costruita su terreni civici con 12 milioni di euro dirottati dalle scuole, chiediamo di utilizzare le risorse per strutture che ospitino prodotti tipici e biologici, macchine agricole, punti di ristoro, seminari di formazione sulla sovranità alimentare. Questo potrebbe dare posti di lavoro a Nuoro, non un po' di soldati che vanno al bar per il cappuccino».

Altri cardini della futura economia sarda?
«L'artigianato. Quello sardo è tra i più ricchi al mondo perché lavora tutti i materiali, dall'oro ai cestini. Soru ha abolito l'Isola, che in effetti era un carrozzone: ma dopo sono venuti progetti manageriali costosi che non hanno portato niente agli artigiani veri. È un settore in totale abbandono».

Qual è la vostra posizione sull'industria?
«Senza industria un popolo muore. Il problema è quale. Anche qui: dobbiamo decidere noi. I Paesi ricchi sono quelli che trasformano le materie prime. Noi lavoriamo solo quelle inquinanti. Abbiamo sabbie silicee di ottima qualità: la classe politica non ha mai pensato di lavorarle qui, di utilizzare i contributi per quello anziché per mantenere poli in crisi».

È contro la chimica verde?
«Abbiamo elementi per dire che sarà un inceneritore. Speriamo di sbagliarci. Ma non si può convertire tutta la produzione agricola a cardi geneticamente modificati».

E sul gasdotto Galsi?
«Totalmente contrari. È una nuova servitù energetica. E una truffa: a chi giova? Non è previsto un piano di metanizzazione dell'Isola. Si dice che la rete costerà 4 miliardi, ma nessuno li ha finanziati».

Col tubo arriva il metano, colmando una lacuna storica. La rete interna si può fare anche dopo.
«Vent'anni fa Angelo Caria, un indipendentista, invocava il metano. Ma allora aveva senso. Ora in Algeria sono previste scorte per pochi anni: il Galsi doveva essere già finito e ancora non è partito, nel frattempo finiscono le risorse. Avremo tutta la rete quando non ci sarà più il metano».

Il tubo potrebbe funzionare anche nel senso inverso.
«Non è scritto da nessuna parte. In ogni caso, non abbiamo deciso noi. È un affare per il gruppo Hera, grande azienda dell'energia in odore di Pd, fatta dalle municipalizzate emiliane. A loro conviene, hanno il gas e non la servitù di passaggio. È un favore ai comuni emiliani e al Pd».

Alternative energetiche?
«Intanto smetterla di ragionare su monopoli che costruiscono dipendenza. Hanno ragione i pastori, chiedono di dotare ogni azienda di piattaforme energetiche autonome, fotovoltaiche o di mini-eolico. Non costerebbe più di 150 milioni di euro, quelli previsti per la legge sul golf».

L'indipendentismo spesso è ambientalista, e agli ambientalisti non piace l'eolico.
«Io non mi definisco ambientalista. Non sono contrario all'eolico ma a questo eolico, che conviene solo alle multinazionali. E vale anche per il solare. Fanno campi eolici e fotovoltaici non per produrre energia ma per i certificati verdi, noi sardi non siamo padroni di quello che produciamo. Eppure abbiamo competenze, ingegneri. Spesso costretti a emigrare».

A proposito: che idee avete per l'istruzione?
«In due anni la scuola ha perso 5.738 posti di lavoro, l'8% in meno, il tasso più alto d'Italia. Sproporzionato, perché il calo degli studenti è del 2,26%. E poi tagliare la scuola in un quartiere di Milano o in un paesino isolato non è lo stesso. Non è solo un fatto culturale: incide sul lavoro. In Sardegna il 32,6% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni non fa niente: non lavora e non studia. In Europa la media è del 15%».

Le vostre proposte?
«Investire, difendere le scuole, non valutarle come aziende. E poi rendere la scuola un luogo di formazione al lavoro. Soprattutto, sardizzare la scuola e l'università, che falliscono perché sembrano marziani caduti sulla terra».

Cosa significa sardizzare?
«Copiare chi ha scuole di eccellenza. I programmi ministeriali non sono più intoccabili, in Trentino il 25% è legato a lingua e cultura locali. Poi c'è il tema del patrimonio archeologico: abbiamo 8-10 mila nuraghi, per non parlare del resto, ma danno lavoro a non più di 30 cooperative di giovani».

E sulla limba?
 «Quasi il 98% dei sardi parla o capisce il sardo. Utilizziamo questo dato per creare lavoro. Noi proponiamo un principio di “discriminazione positiva”: a parità di curriculum, si dia lavoro a chi ha raggiunto un livello B2 di sardo, che è un livello alla portata anche di chi non è sardofono».

Da L'Unione Sarda del 25 maggio 2012

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