«E' la Tirrenia è la nostra prigione» Le imprese dovrebbero pagare l'Irpef al 10%. Questa è indipendenza.
L'ultimo
schiaffo è il disimpegno sul finanziamento elettorale: 800 mila euro
che il Governo, a poco più di un mese dal voto per le amministrative in
65 Comuni sardi, ha annunciato che, contrariamente alla prassi, non
darà alla Regione. Poi c'è stato il passo indietro. Ma sul piano dei
rapporti Stato-Regione la sostanza non cambia. La comunicazione del
ministero degli Interni viene diffusa mentre Giacomo Sanna risponde
alle domande dell'Unione sul senso dell'indipendentismo. «Vede, è uno
dei casi concreti, uno di quelli quelli che ritengo opportuno citare
quando parlo con la gente e spiego che cosa significa indipendenza e
che cosa intendono dire i colleghi Mario Diana e Luciano Uras quando
parlano di secessione al contrario: è quando è lo Stato ad
abbandonarti, non il contrario». Un altro caso sul quale vi soffermate
spesso è quello della Tirrenia. «È la madre di tutte le nostre
battaglie, la nostra prigione».
Che cosa proponete?
«Da
tempo diciamo che rotte, quota navi e parte dei 72,6 milioni di
finanziamenti previsti nella convenzione tra Stato e Tirrenia, devono
essere sottratti ai tre armatori napoletani e ceduti alla Regione per i
prossimi otto anni».
È l'unico modo per fa cessare il monopolio?
«Sì.
Inoltre verrebbero garantite le tratte a prezzi equi e verrebbero
assunti lavoratori sardi. Oggi su 1590 dipendenti della compagnia, solo
65 sono sardi e tra questi 15 sono impiegati e 50 imbarcati. I
lavoratori isolani sono solo il 4% di tutti gli occupati. Eppure le
rotte le fanno in Sardegna. Uno scandalo».
Indipendentismo è anche avere una flotta sarda?
«Va
bene come soluzione temporanea, come segnale politico, ma la Regione
non deve fare l'armatore, non è il suo mestiere, dunque non deve
entrare nel consiglio di amministrazione della nuova Tirrenia».
Cappellacci esclude queste ipotesi, sostiene di voler solo incidere concretamente per stabilire le regole della continuità.
«Ha
ragione, condivido le sue posizioni. Vedo che anche su questa
battaglia sta mettendo molta convinzione. Anche Renato Soru credeva
nella flotta sarda, ma voleva farla con Vincenzo Onorato. Una follia,
magari in buona fede: sarebbe stato come andare in chiesa col Diavolo».
A
proposito di Cappellacci: da mesi il presidente parla un linguaggio
filo indipendentista. Quando dice “La Sardegna è sempre stata vittima di
soprusi, manchevolezze e posti di lavoro mai nati a causa di interessi
lontani dall'Isola” sembra di sentire lei o Gavino Sale.
«È
la conseguenza degli schiaffi di cui parlavo prima. Ugo li ha sentiti e
sta reagendo con orgoglio. Mi sembra che lo stia facendo in modo
serio».
Merito anche dell'alleanza con voi?
«Abbiamo
un ruolo, non c'è dubbio. E penso che se a fine legislatura porteremo a
casa sei dei 13 punti del nostro programma elettorale sarà stato un
successo».
Lo Statuto speciale deve essere
modificato, su questo le forze politiche sono concordi. Insistete
sull'assemblea costituente del popolo sardo?
«Sì, fuori
dalle stanze della politica c'è un mondo e quel mondo non possiamo
ignorarlo: deve lavorare con noi in una grande sessione di riforme
statutarie. Sul fatto che la nostra Carta vada riscritta non ci possono
essere dubbi: è nata quando l'Europa unita non era nemmeno stata
immaginata».
A proposito di Europa, che rapporto avrebbe la Sardegna nell'Europa unita?
«Può
essere un'opportunità se diventa l'Europa dei popoli e non uno
strumento di assorbimento di poteri. Oggi siamo distanti da questo
traguardo: siamo nell'Europa della Francia e della Germania. Quando c'è
da discutere di economia parlano in pochi, quando si dibatte di
difficoltà si parla in molti. Viviamo nell'Europa dell'egoismo».
Torniamo alle modifiche statutarie: dopo quelle in tema di compartecipazione alle entrate, che altro cambierebbe?
«Intanto,
come sappiamo, nonostante la modifica statutaria lo Stato continua a
non corrisponderci ciò che ci spetta. Lo sottolineo per evidenziare
ancora una volta la differenza tra autonomismo ed indipendentismo. Solo
con l'indipendenza possiamo essere davvero artefici del nostro
destino».
Torniamo al merito.
«Come
ho detto, agirei sulla leva fiscale. Zone franche, Irpef sotto il
dieci per cento per le imprese. Anche sulle politiche agricole, oggi di
competenza comunitaria, occorrono scelte diverse. Non possiamo essere
svantaggiati in termini di infrastrutture e costi di produzione e nel
contempo limitati da quote imposte dall'Europa. Ecco un altro esempio».
Ne faccia altri?
«Stiamo
all'attualità: possiamo ancora tollerare che lo Stato ci imponga di
riaprire un carcere all'Asinara quando noi vogliamo lì un parco
regionale? Possiamo tollerare che continuino a costruire carceri di
massima sicurezza sul nostro territorio per esportare malavitosi?»
Dal secondo dopoguerra avete stretto varie alleanze, partecipando a
coalizioni di centro, centrosinistra e di centrodestra. Alle politiche
del 2006 vi alleaste nella lista del Patto per le autonomie sotto le
insegne di Lega Nord e Mpa. Rifarebbe quella scelta?
«Fu
un'alleanza tecnica che qualcuno volle strumentalizzare. Ci diedero
diritto di tribuna dopo un tradimento da parte dell'attuale Pd. Qualcuno
chiese anche le mie dimissioni ma la maggioranza del partito mi
difese. Chi non lo fece se ne andò e fece una brutta fine,
politicamente».
Che cosa pensa di ciò che sta accadendo oggi nella Lega?
«Intanto
penso che abbiamo teso una trappola al partito, altrimenti non mi
spiegherei tutte queste telecamere nascoste. Osservo anche che per la
Margherita, parlo del caso Lusi, non c'è stato tanto clamore. Premesso
questo, mi sembra che le immediate dimissioni ed espulsioni nonché la
reazione d'orgoglio del partito siano stati esemplari. La massiccia
partecipazione alla manifestazione di Bergamo che si è tenuta nei giorni
successivi allo scandalo ne è la testimonianza. È un partito vivo, che
ha un'anima, contrariamente ad altri»
Come mai in tutti questi anni non avete parlato apertamente di indipendentismo?
«Non
abbiamo utilizzato il termine per non spaventare molta gente nei
momenti in cui non ci sembrava il momento di far passare il messaggio.
Ma nella sostanza abbiamo continuato a fare scelte in quella direzione.
Del resto il sistema che ci hanno imposto ci ha inquinato l'anima».
Dica la verità: l'indipendenza, concretamente, è un utopia.
«Non
è vero. C'è chi sostiene che non potremmo vivere di ciò che abbiamo.
Io dico: siccome non l'abbiamo mai verificato, proviamo e poi vediamo».
Mettiamo che il Psd'az vinca le elezioni e conquisti il 51% dei voti.
«Cesserebbe lo scopo del Psd'az, il partito avrebbe esaurito tutta la
sua funzione».
Da L'Unione Sarda del 20 aprile 2012
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