«Viviamo una crisi pazzesca in tutti i settori della società:
per i sardi è un'occasione storica, la più proficua del dopoguerra»
Che cos'è l'indipendentismo. E soprattutto, come si concretizza? Giacomo
Sanna fa un sospiro, sorride sornione, guarda dritti negli occhi gli
interlocutori e risponde non da filosofo utopista ma, da uomo
pragmatico, con gli esempi. «Spiegarlo alla gente è difficile, bisogna
evitare astrattismi, parlare la lingua giusta con chi ha perso il
lavoro, con chi dispera di trovarlo, con chi ha perso la dignità».
Dunque?
«Indipendentismo,
cito tre casi, è affrontare la questione dell'energia, del costo del
denaro e dei trasporti tenendo conto che siamo un'isola e non Milano,
che i nostri costi sono nettamente superiori».
Ma per questo basta l'autonomia?
«Evidentemente
no. L'autonomia ha i suoi limiti ed i Governi sono sempre più
arroganti, egoisti. Non distinguono, fanno due conti ed emettono
provvedimenti che penalizzano i più deboli».
Il sistema fiscale, ad esempio.
«Esatto.
Il nostro è uguale per ricchi e poveri. Inaccettabile. Problemi
diversi non si possono affrontare con gli stessi strumenti».
Lei che cosa farebbe?
«Ad
esempio voglio poter decidere che le nostre imprese o quelle che
investono e assumono in Sardegna paghino un'aliquota Irpef all'otto o al
dieci per cento».
La crisi economica, la
crescita dell'avversione ai partiti come simbolo della degenerazione
morale ed economica rendono la gente più sensibile all'indipendentismo?
«Abbiamo,
lo dico paradossalmente, la fortuna di vivere una crisi pazzesca in
tutti i settori della società e abbiamo un problema morale gigantesco.
Questo rende la gente disperata, la fa riflettere. Se hai la pancia
piena, i vantaggi dell'indipendenza non ti toccano. Se sei disperato
sì. È un'occasione storica, la migliore del dopoguerra».
Perché?
«Sa
qual è la differenza rispetto ad allora? Che la gente prima della
guerra non aveva niente o aveva poco e doveva costruire tutto. Era tutto
difficile ma c'erano stimoli, persino entusiasmo. Ora è diverso: gli
italiani stanno passando da un consumismo sfrenato al precipizio. Tra
non avere e dover conquistare ed avere molto e perdere tutto c'è un
abisso. Per questo dico che è un'occasione storica».
Non
a caso la stanno cavalcando molti partiti italiani di maggioranza e
opposizione. Che recentemente in Consiglio regionale hanno approvato il
vostro ordine del giorno che propone di verificare
il fondamento della permanenza della Sardegna nella Repubblica italiana
«È
una ulteriore dimostrazione che il sentimento cresce assieme al
risentimento verso un Governo che ci schiaffeggia ogni giorno, incapace
perfino di rispettare gli impegni che assume e le leggi che emana. Ecco
perché molti stanno entrando nel recinto dell'indipendentismo».
Oggi qualcuno parla di secessione al contrario, cioè è lo Stato che ci allontana, come una zavorra.
«No
gli do torto. Però è un paradosso». Un popolo litigioso come il nostro è
capace di autodeterminarsi? Continuiamo ad essere mal unidos e i primi
a dividersi sono i promotori dell'indipendenza. «Ha ragione. Nella
galassia c'è un difetto di democrazia, c'è chi fatica ad accettare
regole condivise e fatica a stare assieme. L'indipendenza non può
diventare una dittatura».
Anche il suo partito si è diviso mille volte.
«Vero, ma ha avuto scissioni momentanee e chi si è allontanato ha avuto vita politicamente breve».
Come il suo amico Efisio Serrenti?
«Eravamo
amici, lo invitai a non strappare, ma lui decise di sostenere la
Giunta Floris e ci dividemmo. Soffrii molto per la sua scelta. Ma alla
lunga non pagò. I Sardistas si sono estinti dopo pochi anni».
Si sono scisse anche Sardigna Natzione e Irs, è nata Progres.
«In
un movimento le discussioni sono fisiologiche come le battaglie, anche
dure. Bisogna credere nella propria missione ed essere capaci di
superare le difficoltà. Con Bustianu e Gavino ho fatto molte battaglie,
sono miei amici, non si può non andare d'accordo con loro. Abbiamo
fatto Sardegna libera, una creatura che ho voluto, ma la gente non era
matura. Arriverà il giorno in cui lo sarà».
C'è la possibilità che voi e i Rossomori vi riuniate?
«Le
racconto un aneddoto. Molti anni fa, a Sassari, ero assessore
provinciale e facevo vita di sezione. Ci furono divergenze nel partito
ed io per nove mesi non presi la tessera, ma rimasi dentro. Né io né
nessuno dei miei compagni di partito pensammo di andar via anche se
c'erano difficoltà. Non si va via dalla squadra se si perde la partita.
Ecco perché non voglio riportare dentro chi ha creato divisioni e
lacerazioni».
Anche di recente il tavolo della
convergenza indipendentista ha lavorato a lungo per costruire un
documento sui valori condivisi poi si è spaccato.
«Ho visto».
Una
delle cause sembra essere stata il referendum sull'indipendenza
promosso da Malu Entu: secondo alcuni suoi commensali ha fatto una
imperdonabile fuga in avanti solitaria.
«Concordo.
Doddore lo conosco dal congresso dell'81, è simpatico ed ha carisma. Ma
deve capire che non ci si può imbarcare in una battaglia come questa
anticipando i tempi, per fare il primo della classe. O magari per
recuperare finanziamenti».
Ma ha appena detto che i tempi sono maturi.
«Per
battersi per l'indipendenza sì, ma proprio per questo occorre
ragionare, pianificare, convergere, non fare fughe in avanti. Bisogna
trovare il modo giusto per fare le cose».
E qual è il modo giusto?
«Faccio
l'esempio del referendum sulle scorie. Bustianu lo promosse, noi gli
demmo una mano. Fummo aiutati da tutti i media, che garantirono
informazione dettagliata e costante e, dunque, un traino straordinario,
l'iniziativa fu sposata dal presidente della Regione Cappellacci che si
schierò apertamente con noi e ci fu un colpo di fortuna».
L'incidente in Giappone.
«Esatto. Tutto questo ci consentì di conquistare una vittoria straordinaria contro il Governo».
Qual è la controindicazione dell'indipendentismo?
«Non
ce ne sono. Se invece mi chiede qual è il limite attuale ribadisco: la
democrazia. C'è ancora qualcuno che la mette in discussione, che non
la accetta che non la applica, che ha difficoltà a stare assieme».
Potreste imparare dai baschi o dai catalani. O anche da Malta e Cipro.
«Hanno concretizzato ciò che noi riusciamo solo a postulare, hanno un'altra statura».
Da L'Unione Sarda del 20 aprile 2012
SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE
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