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martedì 7 agosto 2012

I VELENI DELLA CHIMICA DI OTTANA: Ucciso da un tumore un altro operaio dell'Enichem

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno Martedì 7 agosto 2012 alle ore 10.28 ·
 


POLITICI, SINDACATI, SARDI ...E' QUESTA LA SARDEGNA CHE VOLETE ?

«È morto anche Luigi». Poche parole, un terribile anche , pronunciate ormai troppe volte dai lavoratori (in gran parte ex tra cassa integrazione e prepensionamenti) della chimica di Ottana. Luigi Porcu è stato accompagnato l'altro giorno in cimitero a Orani.

Era un collega di Raffaele Curreli, l'operaio di Fonni, morto lo scorso 16 luglio. Si erano ritrovati nel reparto di oncologia all'ospedale Zonchello di Nuoro per i cicli di chemioterapia. Dopo la denuncia pubblica di Curreli che metteva in relazione il tumore ai polmoni che lo aveva colpito con le condizioni di lavoro all'ex Enichem, anche il paziente di Orani decise di prendere posizione, annunciando un'azione legale per il riconoscimento della malattia professionale.

In una intervista a Radio Radicale, impegnata in un'inchiesta sui «Veleni di Ottana», anche Luigi Porcu che dal 1974 al 2004 lavorò all'ex Enichem, compresi oltre vent'anni nel famigerato laboratorio, denunciò il contatto continuo con gli acidi, senza nessuna prevenzione («alla carlona»).

Riascoltare quelle parole postate e rilanciate su più siti nel web (http://www.radioradicale.it/scheda/352784), potrebbe scuotere soprattutto le coscienze istituzionali. Compreso il commosso ricordo dei cinque colleghi già morti che lavoravano nel laboratorio. Una testimonianza sofferta, frasi spezzate dalla difficoltà di respirare. Ricordo di un uomo minato dal cancro ai polmoni e al fegato che però fino all'ultimo, denunciando anche i troppi silenzi delle vittime, ha condotto negli ultimi mesi della sua vita una battaglia contro la fabbrica dei tumori .

Un muro di silenzio ancora da scalfire (non esistono statistiche ufficiali), e una battaglia appena iniziata per un vero screnning di massa e i riconoscimenti pensionistici. ( m. t.)

Da L'Unione Sarda del 7 agosto 2012

FIDUCIA AL GOVERNO MONTI ? ALCUNI DEPUTATI SARDI VOTERANNO CONTRO GLI INTERESSI DELLA SARDEGNA

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno Domenica 5 agosto 2012 alle ore 21.27 ·



Nell'Isola si è aperta la discussione sulla legge che regolerà il taglio della spesa pubblica nel prossimo quadriennio e che mette a rischio l'autonomia.
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L'appuntamento con il voto di fiducia alla Camera sulla spending review è rinviato a martedì. Nel frattempo, nell'Isola, si è aperta la discussione sul da farsi per tutelare gli interessi dell'autonomia sarda, messi a rischio da alcuni dei provvedimenti che Monti e i suoi tecnici hanno fatto inserire nella legge che regolerà il taglio della spesa pubblica nel prossimo quadriennio.

Sotto la lente d'ingrandimento sono finiti, in particolare, i passaggi a proposito della:

regolamentazione dei rapporti con la Tirrenia (la Regione non avrà più il diritto di un parere vincolante sulla stipula delle convenzioni, ma verrà esclusivamente consultata),

l'accantonamento dei fondi delle entrate che lo Stato dovrebbe versare alle casse regionali, e il taglio di quasi un miliardo nei trasferimenti alla Regione e agli enti locali.

COME SI COMPORTERANNO I DEPUTATI ELETTI IN SARDEGNA?
Parlando nei giorni scorsi alla Camera, l'ex presidente della Regione Mauro Pili ha attaccato senza mezzi termini il governo, elencando i torti ai danni della Sardegna, e preannunciando voto contrario.

Uno che si dichiara incerto è il coordinatore regionale del Pdl Settimo Nizzi , che deciderà il da farsi tra lunedì sera e martedì mattina: «Non posso che tener conto dell'indicazione del mio gruppo a votare per la fiducia - fa notare - ma non possiamo negare che, ancora una volta, questo governo si distingue per disattenzione nei confronti della Sardegna.
È da mesi che stiamo facendo notare la cosa a Monti e ai suoi ministri, mi viene da dire che forse è arrivato il momento di mettere in campo un'iniziativa forte per mostrare in maniera chiara la nostra delusione».

Incerto («ma tendente al no») è anche il suo collega Salvatore Cicu , che del Pdl è vicecapogruppo: «Per quel che riguarda i tagli nei trasferimenti potrei anche accettare, in via di principio, la richiesta di assunzione di responsabilità che arriva dall'esecutivo - dice - ma sono intransigente sul tema dell'autonomia violata. Soprattutto nel passaggio col quale il governo vuole trovare una giustificazione al ritardo nei trasferimenti della quota di entrate che spetta alla Sardegna.
Il no alla fiducia non è un tabù, ma sarebbe inutile se si trattasse di un'iniziativa fine a se stessa. Se ci saranno le condizioni per lanciare un segnale, non mi tirerò indietro».

Chi non ha nessun dubbio sul pollice verso è l'altro parlamentare del Pdl Bruno Murgia : «Voterò per fatto generale e ideologico contro questo governo. Niente è stato fatto per la questione dell'insularità e niente in tema di federalismo. Insopportabile, poi, che si parli di ricercare accordi con regioni ed enti locali solo dopo i tagli: il percorso avrebbe dovuto essere inverso».

Di parere diverso è il compagno di gruppo Carmelo Porcu -Pdl: «Voterò la fiducia solo per una questione di responsabilità nazionale, perché ho preso l'impegno di sostenere il governo. Ma è chiaro che mi lamenterò del cattivo trattamento riservato alla nostra Isola».

Paolo Vella (Pdl) dice di riconoscersi nelle parole di fuoco di Mauro Pili («voterò senz'altro no»),

mentre Giuseppe Cossiga non nasconde la delusione nei confronti dei tecnici, pur manifestando l'intenzione di votare la fiducia: «Non siamo determinati, vista l'ampia maggioranza della quale dispone Monti. Non nascondo di essere deluso dall'atteggiamento del governo ma voterò sì, seguendo le indicazioni del gruppo».

Dal Pd critiche ma conferma del sostegno a Monti:
«Ci chiedono di sostenere dei tagli altissimi, in percentuale molto più pesanti rispetto a quelli delle ragioni a statuto ordinario - dice Giulio Calvisi Pd- c'è anche l'anomalia dei debiti di Tirrenia nei confronti di Saremar, che vengono fatti sparire da un giorno all'altro. Ma non servirebbe votare contro, i colleghi del Pdl lo avrebbero dovuto fare prima, col precedente governo».

Un concetto ripreso dall'altro democratico Paolo Fadda : «C'è un brutto clima contro le regioni a statuto speciale, anche a causa di cattivi comportamenti di realtà come la Sicilia. Abbiamo il dovere di sostenere la causa della Sardegna ma non servono le iniziative demagogiche».

Federico Palomba , dell'Idv, conferma il suo voto contrario (fedele alla linea del partito e convinto dalle penalizzazioni riservate alla Sardegna),

mentre Caterina Pes (Pd) (VOTERA' SI) svela un'altra trappola contenuta nella legge: «Con un comma di due righe si tenta di cancellare lo status di lingue minoritarie da tempo conquistato dalla lingua sarda e da quella friulana - fa notare - cercherò di sventare questa possibilità attraverso un emendamento. Se fosse bocciato, proporrei un ordine del giorno».
Anthony Muroni

Da L'Unione Sarda del 5 agosto 2012

NUCLEARE MILITARE IN SARDEGNA?: un segreto italiano

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno Domenica 5 agosto 2012 alle ore 1.25 ·
 



La tentazione di costruire un proprio arsenale (nucleare) colpisce il governo italiano, che tra il 1974 e il 1976 fa eseguire tre test di un missile in grado di essere equipaggiato con una testata atomica. I lanci di prova avvengono in Sardegna, nel poligono militare di Quirra, all’estremo lembo sud-orientale della provincia di Nuoro.

Gli esperimenti sono coperti dal solito segreto di Stato. Il primo test del missile Alfa, un vettore a due stadi, si svolge il primo febbraio 1973. La ratifica da parte italiana del trattato di non proliferazione delle armi nucleari giungerà soltanto nell’aprile del 1975. Il “Programma tecnologico diretto allo sviluppo di un carburante solido ad alto potenziale per razzi per applicazioni civili e militari” – rivelano gli incartamenti top secret del ministero della Difesa – decolla nel 1971 in collaborazione tra Marina e Aeronautica.

Nessuna menzione della testata nucleare, nessun accenno alla vera natura dell’operazione. Alfa era un razzo vettore composto da due stadi, il primo lungo quasi 4 metri, il secondo pochi centimetri meno di tre metri. Le società impegnate nel progetto erano Aeritalia, Selenia e Sistel, con Bpd Spazio incaricata di produrre il carburante.

Siamo nella sesta legislatura del parlamento italiano. Presidente del consiglio dei ministri è Giulio Andreotti, responsabile della difesa è Mario Tanassi, mentre al dicastero degli esteri siede Giuseppe Medici. La ratifica da parte italiana del trattato di non proliferazione delle armi nucleari arriverà nell’aprile del 1975: fino a quel momento e oltre i nostri governi e gli apparati militari non erano sottoposti ad alcun tipo di vincolo per ciò che riguardava la costruzione e il dispiegamento di missili a testata nucleare.

L’Italia a quel tempo era sul mercato: con le centrali atomiche aperte, acquistava uranio e plutonio dagli Usa (documenti ministero degli Esteri), necessario alla realizzazione della bomba atomica. L’idea, sostiene il giornalista scientifico Giovanni Caprara “era quella di disporre di un missile simile all’americano Polaris, da poter imbarcare e lanciare da bordo di sottomarini o di unità di superficie, come l’incrociatore Giuseppe Garibaldi, già armato con lanciamissili”.

Ecco qualche documentato esempio sulle ricerche segrete. Il Rapporto 1010 (3 settembre 1973) del Camen è eloquente:
Studio sulla possibilità di impiego di plutonio in sostituzione di uranio 235 nei reattori nucleari termici”. Alla stregua del rapporto 1037 (6 maggio 1974) “Progetto di un elemento di combustibile sperimentale per esperienza di conversione Uranio-Plutonio nel reattore G. Galilei”; e del rapporto 1041 (21 agosto 1974) intitolato “Impianto di laboratorio per il ritrattamento di uranio irraggiato”. Ed ancora del rapporto 1154 (2 settembre 1977), denominato “Progetto di impianto di produzione di esafluoruro di uranio” e del rapporto 1158 (12 settembre 1977), intitolato “Immagazzinamento di rifiuti radioattivi in formazioni saline”.

Tratto da Articolo Tre del 4 agosto 2012

La Regione Sardegna pignori i beni dello stato italiano



E’ notizia di questi giorni che nel decreto di spending review, approvato con una mozione di fiducia votata anche da parlamentari sardi, lo stato italiano tratterrà per sé nei prossimi 5 anni quelle tasse che ai sensi del nuovo testo dell’articolo 8 dello Statuto Sardo sono invece di pertinenza della Sardegna. Infatti, così recita l’articolo del nostro Statuto, il gettito fiscale è composto “dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione”.
La spending review del non-eletto governo Monti di fatto entra in conflitto con l’autonomia isolana che, in caso di conferma del sopracitato “sequestro” fiscale, verrebbe ulteriormente calpestata sebbene sancita da sentenze emesse da tribunali dello stesso stato, come iRS ha fatto doverosamente notare anche in passato . Infatti il taglio previsto è di circa 400 milioni di euro e, nonostante l’assessore regionale al bilancio La Spisa dichiari cifre che contraddicono quanto dichiarato a Roma dando una stima di “solo” 160 milioni, la situazione è evidentemente di una gravità inaudita. E pensare che la stessa cifra che viene così indebitamente sottratta alla Sardegna quasi corrisponde all’importo con cui l’armatore Onorato ha comprato l’intera flotta ex-Tirrenia determinando per altro un regime di monopolio che è già sotto verifica da parte dell’Unione Europea.
Il movimento iRS – indipendèntzia Repùbrica de Sardigna, nel suo progetto di sovranità fiscale è fermamente convinto che l’istituzione di un’Agenzia Sarda delle Entrate possa eludere gli scippi che da anni i governi italiani compiono nei confronti del popolo sardo impedendo lo sviluppo dell’isola, e che questa agenzia possa, come regolamentato da Statuto, trattenere le entrate della Sardegna per reinvestirle nel territorio stesso.
iRS pertanto propone che i beni, terre ed edifici dello stato italiano presenti nell’isola vengano pignorati e riutilizzati dalla Regione come strutture pubbliche. L’economia della Sardegna non può e non deve essere legata a governi temporanei non eletti dai sardi, ma deve svolgersi attraverso un processo di sovranità fiscale che scorpori la gestione delle finanze sarde da quelle italiane, avendo come scopo unico il benessere del popolo sardo.
iRS – TzdE Fiscalità, Credito e Contabilità Pubblica.

TESTO ORIGINALE 

Il Polo della Sovranità Economica proposto da aMpI ha fatto centro



(IlMinuto) – Cagliari, 2 agosto – Ha fatto centro la proposta nata dalla sinistra indipendentista per risollevare e valorizzare l’economia nuorese attraverso la realizzazione del Polo della Sovranità Economica. “I problemi strutturali che colpiscono la nostra economia – affermava lo scorso marzo aMpI in una conferenza stampa – devono essere affrontati alla radice. [...] Per non soccombere di fronte all’invasione dei Centri commerciali italo-europei dobbiamo cominciare a costruire un’industria della filiera sarda, che sostenga un’economia indipendente e rispettosa dell’ambiente e delle sue risorse”. La ricetta è la valorizzazione dell’agroalimentare, della pastorizia, dell’artigianato e del turismo, settori che, secondo la sinistra indipendentista, se sostenuti consentirebbero di ricominciare a creare economia e lavoro nel territorio. Una proposta che oggi piace e convince anche lo scetticismo iniziale del sindaco Bianco, che in un certo senso fa suo il progetto. “Come se niente fosse e senza alcun pudore – denuncia aMpI con un comunicato – ispirandosi in maniera evidente allo stesso progetto di a Manca pro s’Indipendentzia che prima snobbava, il sindaco propone un sostegno all’agroalimentare, all’artigianato e al turismo”. “Ricordiamo – prosegue la nota stampa – che il progetto di sviluppo a suo tempo già proposto dalla nostra Organizzazione, riguarda proprio questi settori, trascurati e boicottati dagli stessi partiti italiani che la giunta comunale rappresenta, per far posto a un’economia di assistenzialismo e dipendenza dall’esterno”. Tuttavia, a guardare bene gli intenti, nonostante lo scippo progettuale denunciato dalla sinistra indipendentista, c’è una grossa differenza tra le due proposte. Il Polo della Sovranità proposto da aMpI è alternativo alla militarizzazione della città, ovvero alla costruzione della caserma di Pratosardo, mentre la proposta del primo cittadino è un’inizitativa complementare alla caserma, che non viene assolutamente messa in discussione. Le differenze dunque non sono poche.
S.P.

DISASTRO AMBIENTALE DI QUIRRA: La Regione sarda "con strategia" è riuscita a farsi respingere la richiesta di parte civile

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno Martedì 31 luglio 2012 alle ore 18.42 ·
 



Colpo di scena al processo per i cosiddetti veleni di Quirra, che vede indagate 20 persone nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Lanusei per disastro ambientale nell'area del Poligono sperimentale interforze.

Questa mattina, davanti al Gup di Lanusei, Nicola Clivio, si è presentato l'avvocato Serra in rappresentanza della Regione sarda, che ha chiesto di costituirsi parte civile.

Il giudice, dopo aver visionato gli atti, ha respinto la richiesta perchè ritenuta tardiva. Già nella scorsa udienza il Gup aveva respinto l'istanza presentata da diverse associazioni di categoria, «non ritenendole direttamente coinvolte nei fatti oggetto di giudizio». Sempre stamani sono stati decisi i nomi dei responsabili civili, cioè coloro che, in caso di condanna, dovranno risarcire le parti civili.

Il processo riprenderà il 31 ottobre e all'inizio si discuteranno ancora alcune eccezioni procedurali, come la competenza territoriale. Il Gup del Tribunale ogliastrino dovrà decidere sui 20 rinvii a giudizio chiesti dal pm Domenico Fiordalisi al termine delle indagini per disastro ambientale nell'area del Poligono sperimentale interforze del Salto di Quirra.

Da Ansa del 31 luglio 2012

I quattro mori alle Olimpiadi di Londra! Perché i tifosi sardi preferiscono la loro bandiera al tricolore. E qualcosa vorrà pur dire…

Pubblicato il 30 luglio 2012


Li avete visti anche voi? Io credo di sì. Erano lì in forze quando l’Italia ha vinto la medaglia d’oro nel tiro con l’arco. Erano presenti anche nella straordinaria serata delle tre fiorettiste italiane ai primi tre posti. Poi li ho visti pure nella vittoria delle nostre pallavoliste contro il Giappone. Voi li avete visti i quattro mori alle Olimpiadi? Io sì.
Secondo voi, perché i sardi che vanno ad assistere alle gare londinesi si portano dietro la bandiera della loro regione e non quella nazionale? Perché se c’è una competizione in cui la bandiera è tutto, è proprio quella a cinque cerchi. Pongo la questione in maniera semplice e senza avere una risposta da offrirvi. Poi mi chiedo: “Ma io, che bandiera avrei portato?”. Risposta: “I quattro mori”. Perché? Non lo so. Per distinguermi? Per segnare una differenza? Certamente. Ma perché? Non lo so.
Una cosa è certa: nessun altro gruppo di tifosi italiani si sogna di portare la propria bandiera regionale (sempre che tutti ne abbiano una, io una bandiera del Molise o della Basilicata non l’ho mai vista) ad una manifestazione sportiva internazionale in cui la Sardegna non è rappresentata ma l’Italia sì. Moltissimi sardi invece lo fanno, e nessuno di noi percepisce questa esibizione come forzata o senza senso. Almeno, non io.
Poi, un’altra cosa: avete notato altre bandiere “strane” ai bordi dei campi in cui si disputano le gare olimpiche? Cioè noi sardi siamo gli unici al mondo a portare la mostra bandiera regionale al posto di quella nazionale? Una cosa è certa: la nostra non è tra le bandiere ufficiali, eppure è sempre lì. Tifiamo l’Italia, ma con i quattro mori. Siamo gente normale?
Ora, non voglio addentrarmi in territori a me sconosciuti, io non so perché noi sardi andiamo alle Olimpiadi e ci portiamo la nostra bandiera appresso e la sventoliamo anche quando non ci sono nostro corregionali in campo. Capisco che non ha senso ma sento anche che è una scelta normale. Sento anche che questa enorme carica simbolica qualcosa vorrà pur dire, che non è folklore e non è neanche, in senso stretto, politica. Rappresenta invece un fortissimo senso di identità, un valore che dovremmo indagare meglio. E usarlo positivamente per uscire da questa crisi che non è solo economica, ma soprattutto di senso e di valori non più condivisi.

Vito Biolchini

Meccanismo Europeo di Stabilità: i"giochi" dell'italia e le ricadute sull'economia sarda

TESTO ORIGINALE



Consiglio Regionale della Sardegna

XIV Legislatura

Mozione Zuncheddu – Uras – Cocco – Cugusi – Sechi affinché il Presidente e la Giunta Regionale intervengano presso il Governo affinché l’Italia non ratifichi il trattato MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) o Fondo Salva - Stati
Premesso che
- Il MES (meccanismo europeo di Stabilità), detto anche Fondo Salva – Stati, si presenta come un’organizzazione intergovernativa con spiccate tendenze finanziarie e privatistiche;
- Il fondo ha una dotazione iniziale di 700 miliardi di euro, garantiti dalla quota di partecipazione di ogni paese europeo. L’Italia vi aderisce attraverso uno stanziamento di quota-base che si aggira intorno ai 125 miliardi di euro;
- L’obiettivo dichiarato in fase di costituzione del fondo è fornire aiuti sotto forma di prestiti ai paesi europei in difficoltà di liquidità;
- Avere la gestione del fondo significherebbe poter gestire direttamente i debiti sovrani, in quanto gli stati aderenti non parteciperebbero in qualità di istituzioni sovrane, bensì come soci/debitori, laddove il peso/potere di ogni stato andrà a misurarsi con le capacità finanziarie degli stessi;
- Prendiamo il caso dell’Italia, paese già sotto attacco della speculazione finanziaria e preda della corruzione politico/imprenditoriale: partecipa con una quota del 17% circa, equivalente a 125 miliardi di euro, dei quali 15 mld si impegna a versare nei primi tre anni;
- non è nota la modalità in cui lo stato italiano attingerà i 125 miliardi per aderire al fondo;
- il paradosso che verrebbe a costituirsi è che gli Stati parteciperanno alla quota di capitale del MES indebitandosi a loro volta e ciò probabilmente comporterebbe l’immissione di eventuali titoli di debito sovrano, con relativi rendimenti (nel caso dei Piigs, rendimenti verosimilmente elevati che andranno ulteriormente a gravare sui bilanci di Stato e a mettere in discussione la solvibilità del debito contratto);
- nell’ipotesi di uno stato in difficoltà, questo può far ricorso al MES ma non è risaputo a quali condizioni e, nel caso il fondo MES decida di finanziare un paese in difficoltà, quest’ultimo si impegna a rispettare determinate condizionalità che però sono ancora poco chiare nel trattato;
- viene da interrogarsi su quale sia stato l’operato in sede di parlamento sulla natura di queste condizionalità, in un momento caratterizzato dagli attacchi speculativi all’eurozona, in particolare ai cosiddetti PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna);
- nella prima bozza ratificata dall’ex ministro Tremonti, si faceva esplicito riferimento a questioni inerenti la politica economica che il fondo può imporre come conditio sine qua non per il prestito; si pensi a questo proposito alle misure draconiane che hanno smantellato il sistema socio/economico in Grecia e all’effetto dell’inasprimento delle stesse sul tessuto economico/sociale italiano dall’istituzione del governo tecnico;
- gli analisti in materia economico/finanziaria sono concordi nell’imputare pesanti responsabilità della crisi alla speculazione finanziaria; non è da escludere che, in questo senso, l’istituzione di un organismo intergovernativo quale è il MES potrebbe avvallare i rischi di una ulteriore ingerenza dei gruppi corporativi nei capitoli portanti delle economie nazionali, con effetti diretti di lesione dei principi di sovranità popolare;
- altro nodo da sciogliere è quello relativo alle quote di adesione, che possono essere soggette a modifiche nel tempo, appurato che la cifra iniziale di 700 miliardi di euro sia del tutto insufficiente a ripianare le crisi di liquidità del sud eurozona;
- alla luce del fatto che nel trattato si contempla che le quote debbano essere versate “irrevocabilmente” e “incondizionatamente” pare anche lecito domandarsi se i nostri parlamentari si stiano interrogando sulle conseguenze di un’ipotetica inadempienza ai termini del trattato;
- altro capitolo oscuro del MES è la possibilità, sancita dal trattato, di attingere a iniezioni di liquidità dal mercato finanziario estero, ovvero la potenziale partecipazione di altri paesi (vedi Cina, India etc…) o altri gruppi di potere (Banche di investimento, Hedge Funds, Assicurazioni, Istituti finanziari etc…);
- il MES inoltre garantisce INVIOLABILITA’ dei documenti e tutela i soggetti aderenti mediante l’immunità di giurisdizione: il rischio di una completa esautorazione del parlamento italiano sarebbe più che giustificato una volta compiuta l’adesione “irrevocabile” al fondo salva-Stati, si legittimerebbe formalmente una delega a organismi sovranazionali della rappresentanza democratica dei cittadini e della gestione della politica economica di uno Stato Sovrano;
- nessun organo di informazione ha altresì dato risalto alle potenziali implicazioni dell’entrata in vigore del MES, in rapporto alla modifica dell’articolo 81 della costituzione italiana, ovvero l’introduzione del pareggio di bilancio come obbligo costituzionale per lo Stato;
- la modifica dell’art 81 consegna de facto la gestione della nostra politica economica al Fondo Internazionale salva-Stati, alla BCE e alle oligarchie dei poteri finanziari mondiali che avrebbero il controllo totale sui flussi di credito agli Stati;
- le “rigorose condizionalità” sottolineate nel trattato MES potrebbero coincidere con le imposizioni della Troika (UE, BCE, FMI) alla Grecia: austerità, licenziamenti nel settore pubblico, privatizzazioni sfrenate e tagli alle pensioni;
- il trattato è in procinto di essere ratificato presso il Senato della Repubblica Italiana senza che vi siano precedentemente state le doverose consultazioni con le Istituzioni Regionali chiamate anzi ad aderire passivamente e confermando la preminenza dell’Istituzione centrale;
Tutto ciò premesso
Ritenendo che la ratifica del trattato MES significherebbe l’abolizione de facto dell’autonomia degli Stati in materia di economia, finanza e sviluppo economico, depotenziando quindi l’azione dei Governi dei Parlamenti, eletti democraticamente dai cittadini e trasferendo le decisioni su queste materie a dei burocrati non eletti ma nominati.
Si impegna la Giunta Regionale
1) A intervenire presso il Governo affinché l’Italia non ratifichi il trattato MES;
2) A chiedere ai parlamentari sardi di valutare le reali conseguenze che deriverebbero dalla ratifica della modifica dell’Art. 136 del Trattato sul Funzionamento della UE e alla conseguente entrata in vigore del MES, prima di esprimere il proprio voto;
3) A farsi promotrice presso il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti affinché faccia chiarezza sul trattato MES e dia la massima informazione ai cittadini italiani e sardi circa i reali termini dell’entrata in vigore del MES.

Cagliari, 12/06/2012

Claudia Zuncheddu
Luciano Uras
Daniele Cocco
Giorgio Cugusi

Carlo Sechi

TRASFERIRE A ROMA PARTE DELLA STORIA SARDA COSI' DA CANCELLARE IL VALORE DI UN POPOLO E I SOPRUSI SUBITI

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno Lunedì 30 luglio 2012 alle ore 11.19 ·
 



I dubbi della storia interpretata e le quasi certezze delle storie archiviate, creano un continuo alone di leggenda nella interpretazione dell'essere sardi ieri, oggi e chissà, domani. Ognuno coglie ciò che crede o meglio gli aggrada e serve per catalogarsi nella comunità o sub comunità in cui immagina, con certezza relativa, di riconoscersi.

Ed è proprio la necessità di riconoscersi che fa del sardo un continuo ricercatore di origini, intrecci, legami che lo rendono instabile ed incerto nella costanza dei rapporti e delle affinità prescelte. Un individuo, un facente parte di una comunità, un soggetto associato in un popolo che si chiama sardo ma che può essere distinto nella sommatoria di piccoli popoli dai confini legati al mare o alla periferia della bidda, ai muretti a secco della propria campagna od ai filari degli eucaliptus del proprio podere, ai limiti sfuocati dalla foschia dei contorni montani o collinari o all'orizzonte delle campagne rigate a curva dalle strade comunali e provinciali e dai colori mutanti dei campi e della vegetazione spontanea e selvatica.

Un popolo che da millenni esiste e resiste come la natura in cui vive, un popolo ed una natura più vicini al paradiso rispetto al purgatorio o inferno modificato dallo sviluppo degli esseri ed al cambiamento degli habitat in una continua rincorsa per un benessere che non si raggiunge mai a causa della continua involuzione crescente dei bisogni quotidiani della vita, degli status e dei ruoli che vengono prismati secondo ottiche meno umane e naturali. E questo popolo quindi, che si dichiara sardo, può essere considerato, nonostante gli stimoli e le violenze subite dal condizionato cambiamento, il più puro ed il più vicino alla originaria spontaneità del popolo perfetto, a condizione che si correggano alcune storture indotte dal ritmo imposto e non originale.

E se perfetto non è o non lo sarà mai, potrà diventare, se lo vorrà, un popolo eletto e prescelto per confermare che una perfezione di origine vi è stata e che una grande quantità di tracce si possono riscontrare e riconoscere nel popolo sardo più che in qualsiasi altro popolo. Eletto quindi per riscoprire, recuperare e rivalutare un modo di essere individuo, comunità e popolo e sperimentare un ritorno verso un futuro più paradiso che purgatorio, prima di decadere nell'essere inferno in termini umani e di natura. Un tornare indietro per continuare ad andare avanti, senza frenare bruscamente per non deragliare ma rallentando prudentemente la rincorsa effimera del benessere materiale per recuperare e riappropriarsi del benessere umano e sociale che il popolo sardo ha incarnato dentro di sé per natura, conservato, custodito quasi gelosamente ma sempre messo a disposizione di chiunque abbia voluto scoprirlo per farne tesoro di vita e non convinzione di debolezza per dominarlo. Un compito quello del popolo sardo dei popoli accomunati, che può diventare esempio e metodo virtuoso e sperimentale, ancora e sempre a disposizione degli altri popoli, piccoli o numerosi che siano, che ne vorranno verificare e migliorare la attuazione come impegno doveroso per recuperare la genuinità dell'essere popoli ed individui diversi ma simili, facenti parte del più grande e completo popolo che è l'umanità in ogni secondo che scorre della storia vissuta come vita nelle vite e per le vite alla ricerca della felicità.E forse è per questo motivo che il popolo eletto sardo è considerato dagli esterni dominatori un popolo da sottomettere, sfruttare ed umiliare, disperdere ed annullare.

Oggi più che mai la prospettiva energetica rappresenta una drastica soluzione per un annullamento minacciato ma necessario come sacrificio per permettere al restante sub popolo italiano di beneficiare della energia vita,e per perpetrare il sistema del consumo sfrenato ai quali non si può fare a meno, alla faccia della purezza del popolo sardo. Certo che le motivazioni per la sicurezza della salute e del benessere ci sono tutte, ma i beneficiari relativi di questa sicurezza perpetua vivono al di là del mare e non è garantito neanche per loro il beneficio della salvezza in caso di disastro perché il vento e la sua direzione potranno accelerare il coinvolgimento di altri sub popoli dell'italica nazione che nazione non è. Un sacrificio estendibile ma necessario, inevitabile, utile per far funzionare le fabbriche del centro nord ed arricchire i padroni e sostenere i lavoratori delle aziende energivore, per illuminare gli uffici dei cervelloni che solo al centro nord sanno funzionare, per evidenziare anche di notte i monumenti che solo da quelle parti hanno valore e necessità di evidenza, perché la storia li coinvolge mentre nella terra del popolo sardo li ignora e li cancella dal vissuto meritevole di essere ricordato e studiato. Eppure questo popolo eletto si è sempre sacrificato per la storia del mediterraneo sin dai tempi antichi, ma sicuramente non ha meritato il rispetto e la dignità che spettano a chi è eletto, non si sa da chi.

Stanno in questi giorni maturando diversi "gravi problemi" che interessano la sopravvivenza nelle diverse forme del popolo sardo. Il meno fisico ma comunque di valenza storica e sociale è il rischio che nella morsa dello spending review, parte degli archivi di Stato che riguardano fatti ed atti avvenuti in Sardegna dal XII secolo ad oggi, siano trasferiti negli archivi di Roma, dagli uffici provinciali di archiviazione e tutela.

Saranno cancellate così le tracce del valore di un popolo e dei soprusi subiti. Sarà annullata la memoria e le sue prove.
Allontanato con referendum il più grave dei pericoli per la sopravvivenza fisica del popolo sardo con la installazione in Sardegna delle centrali nucleari e di tutto ciò che ne sarebbe conseguito in termini di servitù per le scorie, rischia di essere cancellata la prospettiva del popolo eletto di essere utile come esempio e modello di recupero della rettitudine di vita, al mondo intero utilizzando il campo di concentramento culturale per annullare qualsiasi resistenza possibile di tipo storico, culturale e soprattutto sociale.

Sarà cancellata la prova della esistenza del popolo eletto, reo di non allineamento e fedeltà sino al massimo sacrificio, e tutto questo in cambio della lealtà sin qui dimostrata.

Vincenzo Carlo Monaco

Da SARdies del 14 Luglio 2012

“COMPAGNI SINDACI, VICE-SINDACI E CAPI-GRUPPO CONSILIARI - LORO SEDI”

IN UNA LETTERA DEL 6 DICEMBRE 1977, IL SEGRETARIO DELLA FEDERAZIONE COMUNISTA DI NUORO SCRIVEVA AI “COMPAGNI SINDACI, VICE-SINDACI E CAPI-GRUPPO CONSILIARI - LORO SEDI”.

“Alcuni gruppi separatisti sardi… si sono fatti promotori della raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare con cui - fra le altre cose - si vorrebbe introdurre in Sardegna il regime del bilinguismo (in particolare nel
la scuola e nell’amministrazione pubblica).

Con la presente lettera intendiamo richiamare la tua attenzione sul senso politicamente negativo e pericoloso di tale iniziativa. A tale riguardo le posizioni del nostro partito sono note. Siamo per un regime di autonomia della regione, ma all’interno della Repubblica. Quindi decisamente contrari a richieste indipendentiste, come al regime del bilinguismo.

Soprattutto quest’ultimo è privo di fondatezza: quale sarebbe “il sardo” da introdurre nelle scuole? Perché di diverse parlate, di diversi dialetti occorre parlare e non di un’unica lingua sarda. Come Partito rifiutiamo quindi nettamente questa iniziativa politica e dobbiamo impegnarci a respingere ordini del giorno dei Comuni in sostegno di essa”.
http://www.sardegnaeliberta.it/?p=4553

“La Sardegna sotto il tallone della Nato”


Europeanphoenix intervista Angelo Ledda, coautore del libro “Servitù Militari in Sardegna-Il Caso Teulada”


Il governo di Mr Monti voleva tagliare anche il fondo per le vittime dell’Uranio Impoverito, portandolo da 21 a 11 milioni si euro.
Un gesto vile, l’ennesimo di questo “governo delle banche”, bloccato dal coro di proteste che si è prontamente levato. Oltre al danno sarebbe stata anche la beffa per le migliaia di militari italiani contaminati in questi anni nei vari teatri operativi dove hanno operato in ambito Nato, a cui si dovrebbero aggiungere i civili abitanti nelle zone limitrofe ai poligoni militari.
Questi ultimi si trovano in Sardegna, la grande isola italiana nota per le sue bellezze naturali, ma che da anni è sede d’importanti installazioni militari della Nato come i poligoni interforze di Capo Teulada-Salto di Quirra-Capo Frasca, cui si aggiungono le basi di Decimomannu, La Maddalena Tempio e Tavolara.
Da decenni questa terra italiana subisce le cosiddette “servitù militari”, che non sono attuate per interessi nazionali, giacché il Trattato di Pace sottoscritto dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale ci proibisce d’installare nostre basi aeronavali nell’isola, ma degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica.
E proprio partendo da quest’ultimo aspetto, poco conosciuto dal grande pubblico, come il servaggio militare, fino ad arrivare a oggi con i recenti fatti legati  all’intervento della Magistratura che sta indagando sui numerosi casi di morti sospette connesse con l’Uranio Impoverito, che abbiamo deciso d’intervistare Angelo Ledda, coautore con Guido Floris del libro “Servitù militari in Sardegna-Il caso Teulada”.


D: Dott Ledda, che cosa l’ha spinto ha scrivere un libro a due mani con Guido Floris sul servaggio cui è costretta la Sardegna da oltre cinquanta anni e il comune di Teulada in particolare, fino ad arrivare a oggi con le drammatiche notizie concernenti i morti da contaminazione di Uranio Impoverito?
Cominciamo con qualche numero. L’isola è gravata del 66% delle servitù militari italiane: 24.000 dei 40.000 ettari nazionali. Il 95% di questi 24.000 ettari è occupato da tre poligoni permanenti terrestri, aerei e navali: Poligono Interforze salto di Quirra (Pisq) h. 12.700, Capo Teulada h. 7.200 e Capo Frasca h. 1.416.
Capita, in questa nostra società, per una sorta di incosciente fatalismo, che ci si abitui a tutto, anche alle cose peggiori, anche alle soverchierie più palesi.
Le servitù militari in Sardegna erano la cosa più normale per tutti, cittadini e politici. Quel che avveniva era a conoscenza delle alte sfere militari e politiche: distruzione del territorio, dell’habitat e degli abitanti, militari e civili. Ma bisognava farsene una ragione. Gli accordi internazionali non lasciavano scelta. Di fronte alle prime deboli denunce, chi di dovere fece finta di niente. I diretti responsabili iniziarono a parlare di fatti circoscritti, di mali necessari, di doveri per il mantenimento della pace e della sicurezza nazionale e internazionale. Poi, quando la macchia del male si faceva  sempre di più evidente,  si fece finta di indagare (commissioni militari e parlamentari di inchiesta), si negò l’evidenza, si stabilirono indennizzi per danni (talvolta senza mantener fede). Qualche “esperto” lanciò l’ipotesi che i danni non erano provocati “direttamente” dai miasmi di morte sparsi a larga mano, ma dai vaccini ai militari, per esempio! E i civili non vaccinati?
Un bel giorno il procuratore di Lanusei competente per territorio, Domenico Fiordalisi, con un coraggio civile incredibile, ordina al fisico nucleare dell'Università di Brescia e del Cern di Ginevra, Evandro Lodi Rizzini, di riesumare diciotto cadaveri di altrettanti allevatori deceduti per leucemie e linfomi che avevano i pascoli nei terreni del poligono di Quirra - Perdasdefogu (30 marzo 2011). Due mesi dopo mette gran parte del poligono sotto sequestro. A novembre dello stesso anno la prima parte dell’indagine si conclude con l’accusa di disastro ambientale doloso nei confronti dei generali che avevano comandato il poligono di Perdasdefogu - Quirra dal 2004 al 2008, e di due chimici per aver falsificato parte dei controlli ambientali nel poligono. Gli esami, marzo 2012, riveleranno la presenza di torio radioattivo in misura superiore alla norma nelle salme dei 18 pastori. La cerchia degli indagati si allarga sino a comprendere anche il sindaco di Perdasdefogu.
Altro passo importante che forse permetterà la fine dei danni delle servitù in Sardegna è stato il lavoro e le relative conclusione dell’ultima inchiesta senatoriale (deliberazione del Senato del 16 marzo 2012). Con l’apporto determinante del senatore gallurese Pier Sandro Scanu. Le conclusioni, finalmente, hanno svelato quanto solo i ciechi non vedevano. Eccole:  gran parte del territorio sede dei poligoni sardi è altamente inquinato, con potenziale rischio per la salute. Ci sono state morti sospette tra civili e militari. Le guerre simulate e i test sono stati effettuati senza gli accorgimenti di legge. E’ urgente intervenire col proibire da subito le attività gravemente nocive per l’ambiente e le persone. Prevedere, a breve termine la chiusura dei poligoni di Teulada e Capo Frasca, bonificare e riconvertire le attività di Quirra.
Quando è uscito il nostro libro, primavera 2010, erano già stati denunciati, soprattutto tramite stampa, casi clamorosi e evidenti di danni provocati a persone impegnate nelle così dette missioni di pace o che avevano prestato servizio presso i poligoni militari. Si contavano addirittura centinaia di casi di malattie emolinfatiche, mortali e non, che era difficile non attribuire alle esperienze vissute nei poligoni. Ma, come detto, si deviavano facilmente le responsabilità.
Noi autori abbiamo voluto raccogliere tutte le problematiche legate ai poligoni e alle all’utilizzo delle nuove armi sperimentate e presentare il tutto al pubblico in modo sistematico e documentato. Ci piace pensare che ciò forse ciò ha contribuito a smuovere acque stagnanti.


D: Ci parli di come lo Stato italiano, ma forse sarebbe meglio dire la colonia Italia, visti gli interessi Nato in ballo, ha espropriato la terra agli abitanti.
Si, sono dell’avviso che il governo nazionale sia stato un semplice esecutore di ordini, abbia svolto solo il ruolo di scelta del territorio secondo i criteri imposti dall’alleanza atlantica.
I criteri guida della scelta imposti dalla Nato per l’ubicazione dei poligoni sono stati: ubicazione nel Mediterraneo, il più possibile distante dai centri urbani, immense distese a disposizione. Quindi, carta geografica davanti: Sardegna, l’esteso altipiano di Perdas, le “desolate” colline e spiagge incontaminate di Teulada e di Arbus (Capo Frasca). Difficoltà praticamente inesistenti. A Quirra siamo pressoché su un altro pianeta e si può sparare e sperimentare qualsiasi porcheria. A Teulada, colline, pianure e mare, vivono comunità di contadini e pastori, per loro da sempre unico sostentamento. -Arriva lo sviluppo, starete molto meglio- riavrete molto di più se lasciate i vostri campi – è stato detto e promesso dai funzionari dell’esercito e dai politici regionali e nazionali. Qualcuno, pochi, hanno abboccato, altri, la maggior parte, hanno prima nicchiato e poi respinto la proposta. Per i tardi a capire arrivarono i militari in camionetta e fecero sgombrare. – Dove andiamo, di grazia?- E perché avete il cervello?-

D: Quale fu il prezzo pagato dallo Stato per gli espropri? In Sardegna, lei c’informa, sono circa 24.000 gli ettari adibiti a poligoni e 13.000 come servitù militari, in Europa nessuna nazione raggiunge tali cifre.
Gli espropri furono regolati dalla legge 2359 del 26 giugno 1865 (esatto 1865) che permetteva l’occupazione temporanea di suoli e fabbricati tramite un semplice dispaccio emanato dal Comando Militare e comunicato all’amministrazione comunale ove erano situati i beni. A partire dal 1951 giungono al Comune di Teulada dispacci della XV Legione territoriale della Guardia di Finanza di Cagliari, che invita l’amministrazione locale a informare la popolazione residente che in determinati giorni si sarebbero svolte esercitazioni militari: di qui la necessità di sgomberare da persone e animali i luoghi interessati.
Con inizio nel 1956, a Teulada, si attiva un massiccio esproprio di beni di proprietà privata. L’operazione è accompagnata da un dispaccio del Ministero della Difesa. Tra i proprietari dei terreni e  un funzionario della Sottodirezione Autonoma Lavori del Genio Militare della Sardegna veniva redatto un verbale di consistenza che identificava il proprietario, i dati catastali dei terreni e la loro qualità in relazione alle colture e alla presenza di alberi, e i fabbricati in base al loro stato di conservazione. Successivamente veniva stabilito l’importo in base a un preziario. La pratica di esproprio era, per lo più, patrocinata dall’EPACA (ente di patrocinio e assistenza per i cittadini e l’agricoltura). Attorno agli espropri fiorì una fitta rete di interessi a danno degli agricoltori, non sempre tutelati dalle loro organizzazioni e dal potere politico.
Il prezzo pagato per gli espropri è rimasta una questione mai sufficientemente approfondita. Secondo le autorità militari i terreni furono pagati molto più del valore commerciale. Un’idea del prezzo dei terreni all’epoca ci è offerto da un contratto di vendita dell’8 dicembre 1949. Si trattava di due starelli, corrispondenti a 0,797.35 ha (uno starello è pari a 0,3986 ha), venduti a lire 185.000, quindi a una media di ettaro di lire 116.000. Se confrontiamo il preziario legato all’esproprio da parte dell’EPACA, le somme pagate al Comune e ai privati sono in linea con il prezzo di mercato. Ma il problema è un altro. Nella maggior parte dei casi i soldi giungevano in forte ritardo, anche di alcuni anni. E intanto? Non esisteva soluzione di continuità e i terreni da acquistare erano per lo più inesistenti.
L’abnorme presenza di poligoni militari concentrati in Sardegna è un caso unico, non raro, al mondo. Teniamo presente che i poligoni di Perdas-Quirra-Villaputzu e quello di Teulada sono i più vasti d’’Europa.

D: E’ vero che, come si diceva allora attorno alle basi ci sarebbe stato sviluppo economico per la popolazione residente? Le basi, si disse, avrebbero portato ricchezza al territorio e lo avrebbero salvaguardato dalla speculazione edilizia. Nel suo libro lei cita il generale Walter La Valle, che nella sua audizione nella Commissione d’indagine conoscitiva dell’8 novembre 2006, parla di un indotto di 250 milioni di euro, ripartiti tra Teulada 60/70 milioni, Perdesdefogu 100 milioni e la parte residua 70/80 milioni tra le basi di Decimomannu e Capofrasca. Il generale Mini fa chiarezza sulla vicenda affermando che anche i nuovi entrati nella Nato non sono disponibili a cedere porzioni di territorio per edificare poligoni, quindi i vantaggi sono minimi se non inesistenti.
Nei dati esposti dal gen. La Valle, sono compresi, e rappresentano la parte preponderante, gli stipendi di tutti i dipendenti del Ministero della Difesa che “lavorano” in Sardegna. Ricordiamo che i militari, graduati e non, provenivano per lo più da altre regioni italiane. Inoltre inglobano anche quella parte del bilancio ministeriale riguardante la leva giovanile a quei tempi obbligatoria. Il personale civile impiegato si riduce, in tutte le servitù dislocate nell’isola, a non più di qualche centinaio di persone, parte delle quali stagionali. Risulta invece che il Ministero della Difesa fa cassa nell’affitto dei poligoni a imprese, anche internazionali, che sperimentano nuovi tipi di armi e di missili. Per quanto riguarda Teulada basti considerare che il paese, a metà degli anni cinquanta, contava oltre seimila abitanti, ridotti oggi a 3.800 circa. L’unico paese costiero della Sardegna in regressione  demografica.


D: E ora veniamo a un tema a dir poco scottante, quello concernente le sperimentazioni di nuove armi o esercitazioni a fuoco congiunte nei poligoni sardi, dove è oramai assodata la presenza di Uranio Impoverito.
Sappiamo che oggi l’utilizzo di munizionamento all’Uranio Impoverito fa parte dell’arsenale di molti eserciti e che è stato impiegato sistematicamente dagli Stati Uniti e dai loro Alleati nei vari teatri operativi, Somalia, Iraq, Serbia, Kosovo, Bosnia, Afghanistan, con effetti devastanti sia sulla popolazione civile, sia sui militari che ne sono venuti a contatto. Qual è oggi la situazione ambientale, poi parleremo di quella umana, in Sardegna, Dott. Ledda?
Finalmente nessuno, oggi, anche quanti lo hanno fatto spudoratamente per anni, ha più il coraggio di negare l’utilizzo a piene mani di armi all’uranio impoverito in Sardegna. La verità era nota ai responsabili, ma si utilizzavano sistemi tali per cui, chi doveva verificare e vietare, faceva in modo di poter dire che …  a noi non risulta l’utilizzo. La norma era l’autocertificazione da parte degli eserciti e delle imprese che si addestravano. A cose avvenute i responsabili dei poligoni si limitavano a richiedere una relazione che dichiarasse quali erano state le attività svolte. Nessuna verifica successiva. Questo per lunghi anni.
Finalmente qualcosa si ammette. La terza Commissione Parlamentare di inchiesta, la penultima, con un sottilissimo gioco di parole, dichiarò (12.02.2008) che “pur non potendosi affermare, ma neppure escludere la relazione tra l’evento morboso (la malattia mortale) e la causa scatenante (il contatto con ambienti inquinati dall’utilizzo di armi nei poligoni sardi), il fatto stesso che l’evento si sia verificato costituisce di per sé, a prescindere cioè dalla dimostrazione del nesso diretto, motivo sufficiente per il ricorso  agli strumenti risarcitori”. Poco tempo dopo entra in campo, a piedi uniti, il Tribunale di Firenze, Sezione II Civile, che condanna il Ministero della Difesa al risarcimento del danno subito da un ex militare che aveva contratto il linfoma di Hodgkin.

D: Il Presidente dell’Associazione Nazionale Assistenza Vittime Arruolate nelle Forze Armate, Falco Accame, parla di circa 3.761 casi di contaminazione a livello nazionale tra il personale militare assegnato sia all’estero, che nei poligoni; in pratica i 44 casi di cui si parlavano all’epoca della Commissione Mandelli, ha proseguito Accame, sono diventati quasi 4000. Quanti sono i casi finora accertati di militari deceduti o ammalati in Sardegna? Accame riferisce di altri due casi recentissimi, un Maresciallo ammalato di tumore ora in pensione e di un altro militare.
Una stima numerica esatta sui morti, militari e civili in guerra, militari e civili nei poligoni e attorno ad essi, è impresa impossibile.  Da non trascurare il fatto che, per anni, un militare che si ammalava, non “osava” denunciare la sospetta eventuale causa della malattia. Neppure i parenti trovavano il coraggio di farlo. Purtroppo succede ancora. A parte i dati forniti dalla Commissione Mandelli che alla fine parevano voler dimostrare che l’uranio impoverito è giovevole alla salute, giacché risultava che la media dei tumori nelle località contaminate dall’uranio è inferiore a quella della media nazionale. Ritengo prudenti e documentate, anche se approssimative per difetto, le cifre fornite dall’Associazione vittime uranio: 174 militari deceduti, 2.500 affetti da patologie collegate. Tali dati non comprendono neppure il personale non più in servizio al momento della morte e della malattia perché congedato o in pensione, nonché mancherebbero i reduci della guerra del Golfo, della missione in Somalia, della missione in Bosnia e tutto il personale impiegato nei poligoni della Sardegna (Capo Frasca, Capo Teulada, Salto di Quirra). Senza tema di allontanarci dalla verità si può affermare che i morti dichiarati che hanno frequentato i poligoni sardi siano intorno alla centinaia. Di una parte di essi il nostro libro fornisce, oltre al nome e cognome, particolari esperienze lavorative e sanitarie.

D: A Quirra il giudice Fiordalisi ha chiesto il rinvio a giudizio per 20 persone, tra cui generali ed ex comandanti che si sono avvicendati nel poligono sperimentale interforze di Salto di Quirra, lei che ne pensa?
Ho sopra già detto del lavoro del dottor Fiordalisi, che ritengo un eroe civile che  rischia, forse inconsapevolmente, la propria vita. Si è permesso di mettere sotto accusa alti personaggi che si ritenevano al di sopra di qualsiasi responsabilità, coperti e nascosti dietro il bene della nazione e della patria. Forse per alcuni, la vita di un soldato o di un semplice civile ha un prezzo troppo vile di fronte alle esigenze delle macchine da guerra che assicurano benessere e libertà per tutti. Se cambierà qualcosa di importante sulle servitù militari in Sardegna ritengo sia dovuto all’opera del magistrato e del parlamentare Piersandro Scano.

D: Nel libro lei cita gli studi compiuti dalla dottoressa Gatti che compaiono nella relazione presentata alla prima Commissione parlamentare d’inchiesta sull’Uranio Impoverito. Si parla di “nano particelle”, o nano polveri, corpuscoli di forma sferica di piccolissime dimensioni inferiori a un micron che si producono ad alte temperature, circa 3000°, e sono sotto forma di aerosol quando impattano i proiettili all’Uranio Impoverito contro un bersaglio (possono essere munizioni APFSDS da 105mm o 120 mm anticarro,oppure bombe a guida laser come le GBU 28 dette Bunker Buster, fino ad arrivare ai missili Cruise come il Tomahawk 109), Uranio che è anche presente nelle corazze dei mezzi da combattimento, secondo lei quanto affermato dalla dottoressa Gatti non fa che confermare la pericolosità delle attività svolte nei poligoni sardi, la “sindrome da poligono”?
La dottoressa modenese è stata la prima che ha avuto il merito di dimostrate quanto contenuto nella domanda. Lo stesso termine nanoparticella le appartiene. Nanoparticelle capaci di superare le membrane cellulari e di fissarsi nel Dna, provocando malattie e deformazioni. Lo ha fatto molto presto ma, per convenienza, non è stata presa sul serio, sempre per paura di dover ammettere la gravità di quanto era avvenuto e avveniva nelle pseudo missioni di pace e nei poligoni. D’altronde, gli americani e le altre forze Nato, già dalla fine degli anni ottanta, avevano avvertito anche l’Italia dei rischi insiti nella frequentazione di questo tipo di armi. Essi stessi utilizzavano divise in grado di evitare o per lo meno contenere la contaminazione. I soldati italiani, al loro fianco nei campi di intervento della Somalia, scendevano disinvoltamente in campo operativo in maglietta e pantaloni corti. (Mancava solo il pallone). 


 D: Per i danni alla popolazione civile sarda, ad esempio, lei cita il paese di Escalaplano, che confina con il poligono di Salto di Quirra, dove sarebbero nati numerosi bambini con  gravi malformazioni.
Anche di questo abbiamo in parte già detto. Certo i dati rivelati ad Escalaplano, a ridosso e spesso a favore di vento del Salto di  Quirra sono impossibili da spiegare senza fare cattivi pensieri nei confronti del “vicino super armato”. Escalaplano è un piccolo paese di circa due mila abitanti. Nel triennio dal 1986 al 1988 sono venuti alla luce 13 neonati con gravi e strane deformità fisiche. In quegli anni nel paesino nascevano 18-20 bambini all’anno. A Quirra stesso, una manciata di modeste case rurali sparse in una vallata racchiusa tra un aspro altopiano di selvaggia bellezza e un’ampia spiaggia da incanto, greggi al pascolo, vigneti, orti, aranceti. Abitanti 150, il 10% si ammala di linfomi e leucemie.

D: Dott Ledda non solo Uranio, ma anche i “campi elettromagnetici” prodotti da potenti impianti radar militari inquinano la Sardegna, ce ne parli.
Ad individuare la presenza di campi elettromagnetici è stato, a metà del 2007, il Comitato popolare di difesa ambientale del Sarrabus-Gerrei. I militari rifiutano la collaborazione, richiesta espressamente. Il Comitato sceglie dei tecnici che operano un censimento  solo sulla popolazione che vive vicinissima alle zone dove vengono le esercitazioni, e dove era nota la presenza di radar potentissimi. Gli esperti volontari riescono a dimostrare la presenza di campi elettromagnetici che avvengono nella banda delle microonde a frequenze superiori ai 3 GHz, attribuibili alle stazioni radar del poligono. Per una fortunata coincidenza il Comitato riesce ad entrare in possesso di un opuscolo top-secret realizzato dal Comitato Tecnico Scientifico della Difesa, presumibilmente attorno al 1980, in cui si spiegano alle industrie belliche e alle forze militari straniere le caratteristiche del Poligono sperimentale. Risulta che dei sei radar sistemati nel poligono, almeno uno ruota attorno ad un asse fisso, segue la direzione dei missili per rilevarne la traiettoria ed è capace di emettere impulsi brevi da 240 chilowatt (i radar ruotano a 360 gradi, anche in direzione dei centri abitati).
Ciò costituisce un enorme pericolosità per la salute. Infatti la legge prevede limiti che non si possono superare mai (40 volt/metro) e altri parametri che non si devono violare vicino a case e scuole (6 volt metro per non più di quattro ore). Quelle installazioni sarebbero dovute essere a 3-400 metri dalle abitazioni se si considerano le emissioni acustiche, 2-3 chilometri prendendo in esame quelle costanti. Invece i radar sono praticamente nell’abitato di Arbatax, di Perdasdefogu, della marina di Tertenia e di Quirra. Sono totalmente illegali. Potrebbero contribuire notevolmente a spiegare l’alta incidenza di leucemia e linfomi.

D: E’ recente il caso vergognoso del governo Monti, che dopo aver cercato di inserire nei tagli antisociali anche il “Fondo per le Vittime dell' Uranio Impoverito”,   ha dovuto fare marcia indietro, ma resta significativo il fatto, perché dimostra che non vi è la volontà politica, né la sensibilità nazionale, di arrivare in fondo al problema, in altre parole tutelare le vittime e dichiarare ufficialmente chi è il killer che agisce da anni contro i nostri soldati e civili. Dott. Ledda, a che punto è la battaglia intrapresa in Sardegna contro le servitù militari e i poligoni? Lei pensa che si arriverà un giorno allo sgombero da parte della Nato del territorio sardo ?
Non lo penso con convinzione, me lo auguro. Il tentativo di Monti rappresenta eloquentemente come questo problema sia marginalissimo negli interessi dei politici, figuriamoci del potere militare. La Sardegna è estesa e grande, ma i sardi sono pochi, numericamente nemmeno metà della metà dei siciliani. Sul tavolo elettoralistico valgono qualcosa vicino allo zero. Certo forse i sardi dovrebbero far sentire con più energia e vigore la loro voce, e dimostrare un tantino più di concordia interna.
Nel precedente governo Berlusconi era presente un solo sottosegretario, Giuseppe Cossiga. Forse per debito di riconoscenza nei confronti di Francesco, che non si è mai occupato di questo enorme problema della sua terra. Purtroppo, in questi ultimi dieci anni, si è parlato molto più del ponte sullo stretto che della bonifica e del risanamento  delle ampie zone del  territorio della Sardegna dovuto alle servitù. Ad essere sinceri comunque, in questo ultimo anno e mezzo si son fatti dei passi avanti. Speriamo non muoia tutto di nuovo.
Per quanto riguarda l’influenza della Nato, ritengo che il suo potere in questo senso, non sia così decisivo come nel dopoguerra. Ricordiamo che gli stessi americani, circa tre anni or sono, hanno dovuto chiudere e abbandonare la base atomica di La Maddalena, non certamente con piacere, ma su pressioni dell’opinione pubblica e sollecitazione dell’Unione Europea.

Federico Dal Cortivo

TESTO ORIGINALE 

domenica 5 agosto 2012

Bruxelles nel vortice dei lobbisti


Bruxelles nel vortice dei lobbisti - Bruxelles - Con circa un milione di abitanti Bruxelles è la città europea dove si trovano le più importanti istituzioni e si è trasformata nel corso degli ultimi 25 anni, in un eldorado per i professionisti della pressione sugli eurocrati.
In mancanza di un regolamento in materia, i gruppi d’interesse presenti nella capitale belga possono influenzare a piacimento il processo legislativo europeo. Nel 1985 i lobbisti che  vi lavoravano erano circa 650 oggi sono più di 16 mila.

Nel 2008 la Commissione Europea, nel quadro dell’iniziativa per la trasparenza, ha creato un registro dei “gruppi di interesse”. Il problema è che l’iscrizione rimane facoltativa. Attualmente il registro conta 2771 organizzazioni di cui riporta solamente informazioni di base ed i “lobbisti non sono obbligati a precisare quale direttiva o progetto legislativo vogliono influenzare”.

Per superare la cronica mancanza di specialisti la Commissione Europea fa regolarmente ricorso a “gruppi di esperti”che dovrebbero fornire pareri indipendenti .Ufficialmente essi lavorano gratuitamente, ma secondo quanto affermano  funzionari UE, sono invece retribuiti  da grandi gruppi economici.

In particolare se si analizza la composizione dei “gruppi di esperti” sulle attività bancarie e finanziarie si è scoperto che 40 persone per fare lobby sono dislocate a Bruxelles, da Citigroup – è la più grande azienda di servizi finanziari e risulta la terza più grande azienda in termini di capitalizzazione –numerosi sono anche i “consulenti” legati all’inglese  Barclays e a Paribas.

Nel 2001 la Commissione europea aveva proposto di mettere l’industria chimica sotto controllo.
I produttori e gli importatori avrebbero dovuto fornire informazioni sulle proprietà delle sostanze utilizzate e sostituire i prodotti chimici pericolosi o cancerogeni con altri prodotti meno nocivi.

E’ stato l’inizio del lobbying europeo in quanto “gruppi di pressione” sostennero che tali proposte della Commissione europea “avrebbero ucciso l’industria chimica europea portando inevitabilmente ad un aumento della disoccupazione”. I principali promotori di questa campagna erano la Basf e la Bayer !.
Qualche anno fa l’associazione tedesca dei prodotti chimici ha erogato finanziamenti a partiti politici come la Cdu-Csu – conservatori e Fdp – liberali -.

Erik Wesselius dell’Osservatorio Europeo delle imprese che combatte queste lobby,cita l’esempio di una proposta di legge per etichettare i prodotti alimentari con simboli:verde per quelli che fanno bene alla salute,rosso per quelli nocivi. ”Pur trattandosi di una idea facile e chiara – afferma Wesselius-non è stata approvata a causa della forte  resistenza dell’industria agro-alimentare.

Bruxelles prospera grazie ai giochi di potere dei gruppi di pressione. Diplomatici, lobbisti, funzionari  si incontrano  a pranzo negli eleganti ristoranti del quartiere Europa, cenano negli esclusivi club del quartiere Des Sablons,partecipano a cocktail party durante i quali  studiano strategie per rendere la legislazione europea favorevole alle grandi compagnie.

Come riferisce il giornale De Groene Amsterdammer di Amsterdam, sono sempre più numerosi i casi di ex commissari che vendono i loro servizi e la loro influenza alle lobby. Una situazione che imbarazza Bruxelles – prosegue il giornale – in quanto su 13 commissari che hanno lasciato la Commissione nel 2010, tutti hanno trovato lavoro in gruppi privati di cui hanno sostenuto gli interessi durante il loro mandato. Solo un grande scandalo potrà portare ad una regolamentazione dell’attività di queste lobby.
 Giancarlo Cocco 

TESTO ORIGINALE 

Cronologia dei plebisciti in Italia

 

 

Riveste particolare interesse avere a disposizione una cronologia precisa di come avvennero i plebisciti in Italia, dapprima quelli di annessione al Regno di Sardegna e poi quelli di annessione al Regno d'Italia.
  • Annessione d'imperio della Repubblica di Genova al Regno di Sardegna
    • 7 gennaio 1815 - In un proclama ai genovesi il comandante delle truppe britanniche annuncia che Genova e la Liguria passano sotto il governo del luogotenente generale Ignazio Thaon de Revel, amministratore dello Stato Genovese in nome di Vittorio Emanuele I, re di Sardegna.
    • Nessun plebiscito sancì l'annessione d'imperio: i Savoia temevano che i Genovesi avrebbero votato contro l'annessione?
    •  
  • Plebisciti di annessione al Regno di Sardegna
    • 9 maggio 1848 - A Modena una riunione di cittadini nella sala municipale delibera l'unione della città al Regno di Sardegna.
    • 10 maggio 1848 - Piacenza vota l'unione al Regno di Sardegna.
    • 12 maggio 1848 - Il governo provvisorio di Milano indice un referendum per deliberare circa l'annessione al Piemonte.
    • 24 maggio 1848 - Il Ducato di Parma vota l'annessione al Regno di Sardegna. Su 39.000 votanti si esprimono a favore dell'annessione al Piemonte 37.250, per Carlo II di Borbone 1.100, per l'annessione allo Stato Pontificio 500, per la repubblica 1.
    • 8 giugno 1848 - La Lombardia vota per l'annessione al Regno di Sardegna. Su 661.626 maschi maggiorenni votante si pronunciano per l'unione 661.002. Anche Vicenza vota a grandissima maggioranza per l'annessione.
    • 4 luglio 1848 - L'Assemblea nazionale di Venezia vota a grande maggioranza l'annessione al Piemonte. Si oppone invano il repubblicano Daniele Manin, che rifiuta di far parte del governo provvisorio.
    • 14 agosto 1859 - Il governo provvisorio di Parma indice un plebiscito per l'annessione al Regno di Sardegna che darà una maggioranza di 63.167 voti contro 504. Tale plebiscito, che si svolgerà in due tornate, il 14 e 21 agosto, non avrà tuttavia valore ufficiale e il governatore straordinario piemontese Luigi Carlo Farini decreterà l'istituzione di un'assemblea eletta da tutti i cittadini al di sopra dei ventun anni capaci di leggere e scrivere, con il compito di votare una mozione di decadenza della dinastia borbonica e di annessione al Regno di Sardegna.
    • 20 agosto 1859 - L'Assemblea Toscana approva all'unanimità l'unione al Piemonte e raccomanda il proprio voto alla protezione di Napoleone III ed dell'Inghilterra. Il 16, all'inizio dei lavori, aveva dichiarato decaduta per sempre la dinastia lorenese. Fra i membri dell'Assemblea si assentano per il voto soltanto l'unico repubblicano dichiarato, Giuseppe Mazzoni, e Giuseppe Montanelli, che nel frattempo è passato su posizioni bonapartiste ed è fautore di un regno dell'Italia centrale sotto il principe Giuseppe Napoleone.
    • 21 agosto 1859 - L'assemblea Modenese, eletta sulla base di una legge elettorale che concede il diritto di voto a tutti i cittadini maggiori di ventun anni che sappiano leggere e scrivere, delibera all'unanimità l'unione delle province modenesi al Regno di Sardegna.
    • 11-12 settembre 1859 - L'Assemblea parmense eletta secondo la modalità dettate dal governatore piemontese, approva all'unanimità la decadenza della dinastia dei Borboni di Parma e l'annessione delle province parmensi al Regno di Sardegna.
    •  
  • Cessione di Nizza e Savoia alla Francia
    • 12-14 marzo 1860 - Un accordo franco-piemontese per la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, come compenso per la benevolenza francese verso le annessioni dell'Italia centrale, è concluso. Tale cessione deve avvenire con l'accordo delle popolazioni interessate, che verranno chiamate a esprimere con il voto la loro volontà. L'accordo sarà ratificato il 24 marzo e reso pubblico a Parigi e a Torino il 30 marzo. Molti esponenti della destra conservatrice e della sinistra anticavouriana giudicheranno il trattato un «ignobile mercato», che prova il totale asservimento del governo cavouriano alla Francia di Napoleone III. In Particolare la cessione di Nizza provocherà un ulteriore irrigidimento nei rapporti tra Cavour e Giuseppe Garibaldi, che proprio a Nizza, sua città natale, era stato eletto deputato.
    • 15 e 22 aprile 1860 - Si svolgono a Nizza e in Savoia la votazioni per l'annessione alla Francia. A Nizza su 29.149 iscritti votano 24.608 dei quali 24.448 favorevoli all'annessione e 160 contrari. In Savoia su 135.449 iscritti, votano 130.839, di cui 130.583 favorevoli all'annessione e 235 contrari. L'esito dei due referendum lascerà una scia di polemiche per il totale abbandono delle due regioni da parte delle autorità sabaude che per prime avevano invitato i sudditi a votare per l'annessione alla Francia. Il 29 maggio e il 10 giugno la Camera e il Senato torinesi ratificheranno a grande maggioranza la cessione dei due territori.
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  • Plebisciti di annessione per la costituzione del Regno d'Italia
    • 11-12 marzo 1860 - Sono indetti in Emilia e in Toscana i plebisciti per scegliere fra l'annessione alla monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele II e un regno separato. Hanno diritto di voto tutti i cittadini maschi che abbiano compiuto ventun anni e godano dei diritti civili. In Emilia su 526.218 iscritti votano 427.512 (81,1%), dei quali 426.006 a favore dell'annessione, 756 per il regno separato e 750 nulli. In Toscana su 534.000 iscritti, votano 386.445 (73,3%), dei quali 366.571 a favore dell'annessione, 14.925 per il regno separato e 4.949 nulli. I risultati dei plebisciti saranno solennemente presentati a Vittorio Emanuele II rispettivamente il 18 e il 22 marzo e le due regioni saranno dichiarate parti integranti del Regno di Sardegna.
    • 21 ottobre 1860 - Un plebiscito sull'annessione al Piemonte si svolge nel Regno delle Due Sicilie. Nel continente su circa 1.650.000 iscritti nelle liste elettorali (su una popolazione di 6.500.000 abitanti) i votanti sono 1.312.366 (79,5%) di cui 1.302.064 favorevoli e 10.302 contrari. In Sicilia su circa 575.000 iscritti (su 2.232.000 abitanti) i votanti sono 432.720 (75,2%), di cui 432.053 favorevoli e 667 contrari.
    • 4 novembre 1860 - Si svolgono nelle Marche e nell'Umbria i plebisciti per l'annessione. Nelle Marche su circa 212.000 iscritti i votanti sono 134.977 (63,7%), i voti favorevoli 133.765 e i contrari 1.212. Nell'Umbria su 123.000 iscritti i votanti sono 97.708 (79,4%), i voti favorevoli 97.040, quelli contrari 308. I risultati saranno solennemente presentati a Vittorio Emanuele II a Napoli il 22 novembre.
    • 26 febbraio 1861 - Il Senato italiano approva con 129 voti contro 2 la mozione che conferisce al Vittorio Emanuele II e ai suoi discendenti il titolo di re d'Italia. È ritirato un emendamento che proponeva di aggiungere la formula «per provvidenza divina e per voto della nazione». La legge sarà approvata per acclamazione dalla Camera il 14 marzo e promulgata il 17 marzo 1861.
    • 21 ottobre 1866 - Si svolge nel Veneto il plebiscito per sancire l'unione al Regno d'Italia. Su 647.426 votanti (su una popolazione di 2.603.009 abitanti) i voti contrari sono solamente 69.
    • 2 ottobre 1870 - Un plebiscito sanziona l'annessione di Roma e del Lazio al Regno d'Italia. Su 167.548 cittadini iscritti alle liste elettorali i votanti sono 135.188, i voti favorevoli 133.681 e i contrari 1.507.
    • 9 ottobre 1870 - Un decreto del governo italiano accetta i risultati del plebiscito, riserva al papa il riconoscimento di prerogative sovrane e assicura che un'apposita legge fisserà franchigie territoriali e garanzie del libero esercizio del potere spirituale.
    • 1 novembre 1870 - Pio IX emana l'enciclica Respicientes, nella quale dichiara «ingiusta, violenta, nulla e invalida» l'occupazione italiana dei territori della Santa Sede, denuncia la condizione di «cattività» del pontefice, che non può esercitare liberamente e sicuramente la suprema autorità pastorale e scomunica il re d'Italia e tutti coloro che hanno perpetrato l'usurpazione dello Stato Pontificio.

    TESTO ORIGINALE 

NUORO, MINACCE DI MORTE AL SINDACO. AL CENTRO LA CASERMA DI PRATOSARDO



pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno Venerdì 27 luglio 2012 alle ore 0.34 ·


Il via libera ai lavori nell'edificio militare è arrivato a inizio mese dopo 15 anni. In tempi di tagli e smobilitazioni, i lavori costeranno oltre 12milioni di euro, e saranno costruiti alloggi e uffici per 27mila metri cubi in un terreno di 4 ettari e mezzo. Sarà sede di un Reggimento della Brigata Sassari



Una lettera scritta a mano arrivata in Comune, indirizzata al sindaco di Nuoro, Alessandro Bianchi, Pd. Tra le righe, esplicite minacce di morte: si fa riferimento a “una pistola pronta” e alla caserma dell’esercito a Pratosardo, i cui lavori, nell’area industriale delle città hanno ricevuto l’ok definitivo proprio a inizio mese, dopo una trafila durata ben 15 anni. Nessuna sigla, nessuna rivendicazione e ora il testo è al vaglio della Digos mentre le istituzioni e gli amministratori si sono stretti attorno al primo cittadino. Solidarietà dal presidente della Regione Ugo Cappellacci e dai partiti, mentre il Pd chiede l’intervento del governo.

L’intimidazione è infatti stata recapitata giovedì 19 luglio, giorno in cui il prefetto aveva convocato il Comitato per l’ordine e la sicurezza. Il clima è teso dopo una bomba (orologio e bombola del gas stile attentato di Brindisi) davanti a un centro sociale del Comune, disinnescata prima dell’esplosione e il raid incendiario in una scuola. Poi ancora un finto ordigno contro il sindaco di Sindia, piccolo paese dell’interno. Della lettera e delle minacce si è avuta notizia solo ieri, a detta degli investigatori il tono è lo stesso di quelle arrivate un anno fa al governatore Cappellacci e al deputato nuorese Bruno Murgia (Pdl). Sullo sfondo c’è sempre la caserma di Pratosardo, un argomento ricorrente nelle cronache e nei discorsi politici tra Nuoro, Cagliari e Roma.

La caserma di Pratosardo - L’ultimo tassello è di metà luglio: la giunta del Comune di Nuoro ha approvato il progetto esecutivo. È il via libera ai lavori per costruire alloggi, mensa, uffici e altre strutture di appoggio per 27mila metri cubi in un terreno di 4 ettari e mezzo. La nuova caserma appunto. E in tempi di tagli e smobilitazioni, suona come una rarità. Anche per la Sardegna con la sua ingombrante presenza di servitù militari, proprio quando si parla di conversione e bonifica di quelle esistenti.

La genesi della caserma nuorese porta lontano, nel 1997. Anno dell’accordo di Programma tra Stato, Regione, Provincia, Comune; quando i finanziamenti si contavano in miliardi di lire, poi diventati milioni di euro. Da allora sono cambiati i sindaci e pure i ministri di riferimento e lo stesso accordo, che ha subìto anche alcuni dietrofront della Difesa per poi essere rimodulato nel 2008: da base logistica operativa a sede di un Reggimento della Brigata Sassari. Le esigenze della Difesa sono infatti cambiate.

Taglio anche dei posti: da oltre 400 a circa 250, proprio quelle buste paga tanto agognate su cui fanno affidamento gli amministratori locali per fare risollevare l’economia asfittica della città. Lo stesso sindaco Bianchi, due settimane fa, nell’esprimere soddisfazione per il traguardo raggiunto dopo un percorso lungo e a ostacoli ha ribadito l’importanza del progetto: “Sia per le evidenti ricadute economiche sia per quelle occupazionali legate alla sua realizzazione. In passato, da più parti, è stato espresso un deciso scetticismo sulla effettiva possibilità di realizzare l’opera ed oggi, invece, possiamo partire con i lavori, segno che la caparbietà nell’inseguire un’idea spesso viene premiata”. E poi c’è la convinzione, l’auspicio, che i tanti militari impegnati nell’esercito e nella Brigata Sassari possano tornare a lavorare nell’isola.

La permuta. Il campus universitario al posto della caserma - La base dell’accordo che ha resistito a polemiche e rassicurazioni è una sorta di permuta, di scambio, tra Difesa, Regione e Comune. Secondo il progetto l’area dell’ex Artiglieria, in città, sarà occupata da un campus universitario (il Demanio donerà tutta l’area) mentre il Comune realizzerà la caserma con fondi della Regione (12milioni e 281mila euro già stanziati). L’appalto, d’altronde, è già stato vinto dalla ditta cagliaritana Pellegrini che ha già provveduto allo sbancamento e alla recinzione. Mentre a Nuoro i corsi universitari (gemmati dall’Università di Sassari e di Cagliari) non godono ancora di ottima salute. Tra scontri e tentativi di rilancio per le zone dell’interno della Sardegna.

I contrari - E c’è chi, nonostante lo scetticismo della sua effettiva realizzazione, si è da sempre opposto alla costruzione della caserma nella zona industriale di Nuoro. Non tutti credono che lo sviluppo della città passi per la presenza dei militari. E per questo è stata avviata anche una raccolta di firme promossa dal movimento indipendentista di sinistra ‘A manca pro d’indipendentzia’.
Monia Melis

Da Il Fatto del 26 luglio 2012

NO ALLA CASERMA, LA LOTTA POPOLARE CONTINUERA'

Alla cortese attenzione degli organi di stampa:
LA LOTTA POPOLARE CONTINUERA'!
Tempo fa il sindaco di Nuoro, Bianchi, asseriva in una delle cosiddette "maratone del dialogo" ( che altro non sono se non un comizio propagandistico) che il volano economico per la città sarebbe dovuto essere la "caserma di Pradu e il terziario, poichè Nuoro ha sempre vissuto da quello". Ora, come se niente fosse e senza alcun pudore, ispirandosi in maniera evidente allo stesso progetto di A Manca pro s'Indipendentzia che prima snobbava, propone un sostegno all'agroalimentare, all'artigianato e al turismo. Ricordiamo che il progetto di sviluppo a suo tempo già proposto dalla nostra Organizzazione, riguarda proprio questi settori, trascurati e boicottati dagli stessi partiti italiani che la giunta comunale rappresenta, per far posto a un economia di assistenzialismo e dipendenza dall'esterno. Inoltre, la nostra proposta di costituire il Polo della Sovranità è chiaramente e assolutamente alternativo alla militarizzazione della città, non complementare ad essa! Militarizzazione che il signor sindaco non mette in discussione, nemmeno ora che si è riscoperto paladino dei settori produttivi. 

Con una campagna informativa popolare A Manca nei mesi scorsi ha diffuso 10.000 volantini nelle cassette delle lettere di tutta Nuoro, oltre a 5000 volantini distribuiti per strada, ha partecipato a trasmissioni radio, dibattiti, tenuto conferenze stampa, organizzato concerti, manifestazioni di piazza e tanto altro, per spiegare ai nuoresi che la militarizzazione non rappresenta una risorsa perché l'economia va ricercata nelle nostre reali vocazioni, quali appunto la produzione agroalimentare, l'artigianato e il turismo culturale, sia interno sardo che internazionale, integrando la città con le campagne e tutto il territorio. L'amministrazione comunale con questa mossa maldestra tenta di stroncare la lotta contro la militarizzazione che a Nuoro sta avendo sempre più consenso, pretendendo di continuare a sostenere con diversi milioni una "economia con le stellette" a cui affiancare un'economia compatibile col territorio con due spiccioli. Sospettiamo fortemente che questo improvviso ravvedimento non sia altro che un ulteriore stratagemma per assicurarsi la costruzione di una caserma fortemente messa in discussione da diverse realtà politiche e sociali oltre che da tanti cittadini comuni. 

A tale riguardo ci auguriamo che la lettera anonima con minacce di morte recapitata al sindaco nei giorni scorsi non sia il pretesto per creare un clima di intimidazione nei confronti del dissenso. La protesta contro la costruzione di una Caserma a Pratosardo è stata da sempre una protesta popolare, fatta dai cittadini nuoresi a volto scoperto e alla luce del sole, con volantinaggi pubblici, manifestazioni e raccolta di firme nelle piazze. Sarebbe troppo comodo adesso, approfittando di torbide minacce partite da chissà chi e per quale misterioso motivo, inaugurare una sorta di strategia della tensione che getta ombre e sospetti su chi è contrario alla caserma. Condanniamo con forza e con sdegno il taglio ambiguo dei giornali di questi giorni, che, senza avere il coraggio di schierarsi e di parlare apertamente, cercano ambiguamente di addossare la colpa di minacce (misteriose sia nel contenuto che nella stessa provenienza) alla vasta area popolare che da mesi e mesi lotta contro l'enorme ed inutile spreco della costruzione della Caserma. 
NOI LE COSE LE DICIAMO IN FACCIA!!

Si potrebbe anche pensare che qualcuno approfittando appunto del vertice in Prefettura per la sicurezza abbia inventato ad arte la missiva, per ottenere la tensione giusta per poter reprimere il dissenso. Affermiamo queste preoccupazioni perchè da un pò di tempo ad ogni episodio, come per esempio per
i gavettoni fatti dal comitato cittadino C.A.N. al sindaco come protesta verso il rogo dei libri in piazza, si parla di violenza e di protesta contro la caserma, mettendo assieme fatti assolutamente distinti e che si pretende di accomunare non sotto la categoria di "dissenso" ma sotto quella ben diversa di "violenza". La lotta contro la Caserma di Pradu è una protesta che quando fa comodo si ignora, quando fa comodo si tiene presente, e quando viene sostenuta dalla popolazione si cerca di criminalizzare col pretesto di lettere misteriose.



LA LOTTA POPOLARE CONTINUERA'!
NONO A SA CASERMA DE PRADU!
Direttivo Politico Nazionale
-a Manca pro s’Indipendentzia-

TESTO ORIGINALE